Bocche cucite, gli immigrati del C.I.E. tornano a protestare

“Dovete stare in salute per combattere per i vostri diritti” questa è la prima cosa che Gabriella Guido – portavoce della campagna LasciateCIEntrare – avrebbe voluto dire ai due ragazzi immigrati che da sabato 26 luglio si sono cuciti le bocche e hanno iniziato lo sciopero della fame e della sete, nel C.I.E. di Ponte Galeria. Si tratta della seconda protesta shock nel giro di pochi mesi. La prima era avvenuta a dicembre 2013.

La Guido avrebbe voluto dire questo ai due immigrati, ed invece, ad un passo da loro “per un eccesso di burocrazia e mancanza di delicatezza da parte degli organi della questura” afferma, si è dovuta tenere tutto in gola. “Da tre anni entro nel centro ed incontro i migranti nelle loro celle. Questa volta mi è stato impedito, richiedendomi di fermarmi all’ufficio di polizia, non potendo andare dai ragazzi che, viste le condizioni non possono muoversi dai loro alloggi”. Eppure, il giorno prima la portavoce, che da anni ascolta le richieste dei ragazzi, cerca vie per farli uscire facendo da tramite anche con gli avvocati, aveva ottenuto il lasciapassare,  di solito concesso dalla questura, ministero degli interni e prefettura.

“Mi è stato chiesto di entrare per mediare, per convincerli a metter fine a questa pratica disumana”. I due ragazzi immigrati, un tunisino ed un algerino “sapevano che sarei andata – racconta Gabriella – ci siamo scambiati degli sms proprio a due passi da loro”. Questo può portare ad un aggravarsi della loro condizione “la mia visita avrebbe potuto dar sollievo a quella condizione psicofisica in cui sono”. Per il momento nessuno dei due è in gravi condizioni, nessuno è stato portato in ospedale per esser intubato ed alimentato – passo che segue un lungo digiuno-ma dobbiamo far presto.

Ala maschile CIE Ponte Galeria
Ala maschile CIE Ponte Galeria

Uno dei due è nel CIE da circa quindici giorni. Deve aver saputo di questa forma di protesta quando era fuori o direttamente nel centro, anche se ormai i ragazzi che a dicembre si erano cuciti le bocche sono usciti. Nei loro alloggi non dovrebbe transitare niente di pericoloso – sacchetti di plastica, corde, lamette – eppure hanno trovato la falla nel sistema CIE e sono riusciti a rimediare il necessario. “Ora bisogna far presto. Sebbene non siano in pericolo di vita, uno è fortemente dimagrito”.  La ragione della protesta è sempre la stessa, vogliono uscire da lì.

Ed allora mi viene in mente Fouad che il giorno della visita al CIE di Ponte Galeria di metà luglio mi aveva presentato Karim. “Lui ha più diritto di me, scrivi di lui”. Karim è tunisino, non aveva tanta voglia di parlare. Dava l’impressione che fosse stanco di false speranze, promesse di articoli che avrebbero dovuto cambiargli la vita e poi…nulla. Karim mi ha portato nella sua “piccola gabbia” e mi ha mostrato un documento: l’atto di matrimonio con una ragazza di Terni. “Sono sposato con un’italiana e non dovrei essere qui”.

Dopo Karim si era avvicinato un uomo dalla faccia pacioccona e pulita, a cui avresti consegnato le chiavi di casa. Ha raccontato che lo hanno preso mentre puliva le scale di un condominio insieme alla sua ragazza italiana. Non aveva i documenti. Ora lei è incinta ma se non arriverà l’uscita dal CIE entro breve, tornerà in Cile, dove è padre di tre figlie e addirittura nonno. “Lavoravo in miniera, guadagnavo quelli che per l’Italia sono 3-4mila euro. Sono fuggito per non pagare gli alimenti a mia moglie”. Ora forse verrà espulso. Dovrà tornare in Cile e abbandonare il figlio italiano che sta per nascere.

Fabio Bellumore
(31 luglio 2014)

Leggi anche:
Suor Eugenia e le migranti del C.I.E. di Ponte Galeria
Mai più CIE, “qui dentro la prima cosa che muore è la speranza”
Assemblea pubblica all’Esc: chiudere i C.I.E. subito