Fuori e dentro ai campi rom: soluzioni e disperazione

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Una scena di Fuori Campo, in un documentario la vita delle comunità fuori (e dentro) i campi rom

“Se io decido di vivere in un cassonetto, va bene. Ma se il comune mi costruisce un cassonetto e mi dice che ci devo vivere allora questo è un problema”, dice Luigi Bevilacqua. “I campi rom ti tolgono la dignità”, continua, “ma anche l’infanzia, la libertà di avere rapporti con gli altri, un sacco di cose”, aggiunge Sead Dobreva.

A parlare sono due tra i personaggi del documentario Fuori Campo, Francesca Saudino di OsservAzione , insieme al regista Sergio Panariello, ha deciso di raccontare diverse comunità rom d’Italia oltre i campi e i pregiudizi. Abbiamo incontrato i protagonisti in occasione della prima a Roma, e con loro abbiamo discusso di casa, di lavoro, di opportunità. Dei temi cari a chi si batte per avere più diritti e a chi si ostina a sottrarli.

“Esistono tre situazioni nelle comunità rom: gli emarginati che vivono nei campi, coloro che riescono a comprarsi una casa e a pagare un mutuo e i delinquenti che ne approfittano”, spiega Sead che è arrivato  in Italia dall’ex Montenegro a 9 anni per scappare dalla guerra. Già da ragazzino chiedeva che qualcuno gli desse un terreno su cui poter costruire una casa con le sue mani perché “non avevo mai vissuto in un campo, non ero abituato”.

Aveva diritto a essere protetto e, invece, l’alternativa migliore alla guerra è stata la vita nel campo di Secondigliano, a Napoli, dove ha scoperto che la delinquenza è la degenerazione della povertà. Ed è uguale per tutti.

Sead è convinto che delle soluzioni alternative ai campi esistano: “Si spendono milioni di euro, si preferisce pagare tutto per i rom pur di lasciarli abbandonati. Ma bisognerebbe investire in programmi di lavoro e formazione, le uniche strade per l’inclusione. Basterebbe tracciargli un percorso e poi lasciare che vadano avanti da soli”. Sa per certo che azioni di questo tipo funzionano: nel 2000 insieme ad altri 15 ragazzi di varie etnie ha fondato la cooperativa Casba. Con i loro progetti riportavano a scuola i bambini rom, convincevano i minori del carcere di Nisidia a tornare fra i banchi in cambio dei domiciliari, e reinserivano nel mondo del lavoro degli ex detenuti.

Dimostrare che esistono soluzioni, però, può creare problemi, nel 2002 Sead e altri sono stati bersaglio di una sparatoria. Ancora una volta è stato costretto a partire e ricominciare. Ora a Rovigo è rappresentante sindacale in una fabbrica, vive in una casa con la sua famiglia e quando pensa a Napoli gli si riempiono gli occhi di lacrime.

La sua storia sembra dar ragione a Luigi quando dice: “è difficile che cambi qualcosa: gli interessi sono troppo alti. Dovrebbe stravolgersi un sistema e non succede facilmente”. A differenza di Sead non c’è bisogno di chiedergli quale sia il percorso che l’ha portato in Italia, il suo accento calabrese dimostra che a Cosenza c’è sempre stato, da generazioni. Alla politica dei campi ne sostituirebbe una capace di garantire un’equa dislocazione abitativa e delle pari opportunità.

“Non esiste in Italia nessuna emergenza rom, esiste solo in funzione dei fondi da stanziare”, afferma. “La cosa più terribile è che si spendono i soldi che vengono dalle tasse dei cittadini per segregare”. Con l’associazione Lav Romanò cerca di mettere in pratica le sue idee scontrandosi con un’amministrazione cieca.

Come i protagonisti di Fuori Campo sono tanti i rom che tentano, tra ottimismo e sfiducia, di cambiare le cose. Nonostante Luigi commenti gli scandali e le cifre di Mafia Capitale con una frase che non lascia speranze: “Loro ti vogliono in coma: se muori, non gli conviene; se ti riprendi, nemmeno”.

Rosy D’Elia

11 febbraio 2015

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