Il cibo si assaggia, gli abiti si provano, la preghiera si comprende. È questo lo spirito dello speciale tour organizzato da Roma Migranda nella comunità bangladese di Tor Pignattara, che per più di tre ore ha raccontato ricette, aneddoti di vita e abitudini dei cittadini. Consigli di bellezza a base di kajal e olio di cocco, prova pratica di vestizione di una (eh sì, è femminile!) sari, assaggi di singara e domande curiose nel tempietto induista sul ruolo di caste e affini: circa quaranta partecipanti, una folla quasi completamente al femminile, e una guida d’eccezione, un ponte tra due comunità.
“Cos’è Roma Migranda? È una bella idea“. Madhobi parla in piedi sul muretto di piazza della Marranella: microfono al collo, cartina alla mano, la guida “divisa tra due paesi”, Italia e Bangladesh, introduce la visita e il tour operator che l’ha organizzata. Migrantour è partito da Torino, ma le città coinvolte oggi sono molte di più: Roma, certo, ma anche Firenze, Bologna, Genova, Lisbona, Parigi, Varsavia, solo per citarne alcune. A Roma Migrantour è arrivato due anni fa, con il progetto Roma Migranda. Si è iniziato con l’Esquilino e il suo mercato delle spezie, ma ora la vera realtà multietnica della Capitale è un’altra.
“Tor Pignattara ha attirato molte più persone rispetto all’Esquilino” racconta la polacca Marta, accompagnatrice (e mediatrice) culturale romana, che per questa visita, dopo aver unito ben due liste di partecipanti, ha dovuto chiudere le prenotazioni: troppe le richieste. La visita incuriosisce: c’è chi si ferma ad osservare, chi sbircia dalle vetrine dei negozi, e chi si ferma a chiedere informazioni: “Andate a visitare il Mausoleo?” “No, altre cose…”. Le altre cose, nella fattispecie, sono un ristorante e un alimentari bangladesi, due negozi di abiti tipici gestiti da due imprenditrici vivaci e determinate e il piccolo tempio induista di via Amedeo Cencelli, che funge da punto di ritrovo e di sostegno per la comunità e per il quartiere in generale.
Fa specie che questo piccolo miracolo di periferia accada all’indomani di quello che le associazioni che a Tor Pignattara hanno dato vita al TorpignaLab definiscono “atto incivile e razzista”: svastiche disegnate sui pannelli di una mostra fotografica interculturale, la FIM – Fotografia, identità e memoria. Fa specie soprattutto dopo che un murale a firma di Diavù, Nicola Alessandrini e Lucamaleonte, tre street artist ben noti nella Capitale, era stato realizzato in via dell’Acqua Bullicante per raccontare tre storie, tre identità diverse che formano – insieme – il quartiere, segnando finalmente un deciso cambio di rotta nella percezione generale della diversità. “Un insulto all’identità multiculturale di Tor Pignattara”, hanno commentato le associazioni. La stessa identità che realtà come Roma Migranda cercano invece di preservare.
“Lavoriamo molto con le scuole” racconta Marta “anche perché i bambini sono molto curiosi. Certo, il lavoro da fare è tanto: bisogna prepararli in classe, prima di portarli in gita, ma è molto bello”, soprattutto grazie al sostegno e alla collaborazione degli insegnanti. Le soddisfazioni sono tante, specialmente per la scuola del quartiere, la Pisacane: “molti bambini di Tor Pignattara hanno i genitori che lavorano all’Esquilino, ne conoscono ogni angolo. Una volta abbiamo portato in gita una classe multietnica della Pisacane, dove i bambini italiani saranno stati forse due” racconta Marta. “Si sono divertiti tantissimo, erano affascinati dall’intercultura. Una bambina italiana, addirittura, per dimostrare di essere un po’ straniera anche lei, ha raccontato di essere stata concepita in Uganda”. Con buona pace, insomma, di chi rivendica identità senza sfaccettature.
Veronica Adriani (12 marzo 2015)
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