Centro estivo Piuculture: a lezione di fotografia con Stefano Romano

centro estivo Piuculture
Stefano Romano insieme ai bambini del centro estivo Piuculture.

“Prima di andare in giardino vediamo alcune foto. Ce le ha portate Stefano, questo signore qui. È un fotografo“. Eleonora e Matteo introducono ai bambini la piccola delegazione del giornale in visita al centro estivo Piuculture: un maestro, una redattrice, due fotografi, e chiedono ai bambini di spostarsi in una piccola transumanza colorata dalla palestra all’aula provvista di PC e lavagna luminosa. Il caldo è torrido, porte e finestre aperte non bastano a muovere l’aria, eppure la classe resta incollata alle foto: ci sono dei bambini come loro, Stefano le ha scelte apposta.

C’è chi ama fare foto, chi ama farsi ritrarre. C’è anche chi si vergogna e teme un po’ che quello strano signore tiri fuori la macchina e inizi a scattare. Sulla lavagna intanto scorrono le immagini: ci sono bambini come loro, solo di altre nazionalità. Altre religioni, altre danze, altre scuole, diverse dalla Principessa Mafalda e da quelle che frequentano tutto l’anno. Ci sono due bambini che seguono con fatica: sono piccoli, arrivati in Italia da poco, e quando si tratta di giocare con la lingua hanno qualche difficoltà. Gli altri invece osservano, ascoltano, fanno domande.

Stefano Romano con i bambini ci sa fare, e di intercultura se ne intende. Spiega alla classe perché il bimbo nell’immagine ha una specie di turbante in testa: “i Sikh non devono mai tagliare i capelli, e non devono mai farli vedere o toccare da altri. Per questo li coprono”.”E se arrivano fino ai piedi?” chiede un bambino, che già immagina metri di turbante a copertura della preziosa capigliatura. Poi Stefano mostra delle bambine che portano il velo. Stanno giocando con una Barbie mentre i genitori pregano in moschea. Chiede se qualcuno sa cosa sia il Ramadan, e due bambini tunisini si fanno avanti: Karim* ha dieci anni ma già osserva il digiuno. Suo fratello più piccolo, che invece ne ha sette, ogni tanto trasgredisce bevendo un po’ di acqua.

Poi Stefano mostra la foto di due piccoli ballerini di marinera: i bambini sudamericani in classe la conoscono bene, e uno di loro taglia corto: “io mi vergognerei a ballarla”. Luis* ha sette anni e in casa sta imparando il Quechua col papà. Mantenere il legame con la lingua è importante: anche Christine*, che viene dalle Filippine, in casa parla il tagalog “perché i miei genitori non vogliono che lo dimentichi”.

E poi arriva una foto strana. C’è un bambino che avanza fra le roulottes in una strada sterrata: sta facendo il segno di vittoria, dietro di lui ci sono due adulti che lo osservano mentre cammina, sorridendo. “Lui è un bambino rom” spiega Stefano. “Allora vive in un cassonetto”, dice uno dei bambini. Stefano si ferma un attimo. Spiega che il cassonetto serve al papà per trovare del materiale che possa sfamare la famiglia: “i genitori di quel bambino sono analfabeti e se ne vergognano tanto. Sperano che loro figlio un giorno possa avere un futuro migliore: ho scattato questa foto il primo giorno di scuola di quel bambino, è lì che stava andando” spiega Stefano, e conclude: “provate a pensare a quanto voi siate fortunati”.

Quando arrivano le foto dei bambini indonesiani che giocano nelle città allagate o rovistano i rifiuti alla ricerca della plastica i pregiudizi non trovano spazio, fino alla foto finale e ai saluti. A volte una lezione di fotografia può insegnare molto più che una tecnica di scatto.

*nomi di fantasia

Veronica Adriani
(8 luglio 2015)

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La galleria fotografica è a cura di Noè Ayo Bañares e Marzia Marino