Hotspot per i migranti: le criticità del piano Juncker

hotspot situazione migranti in SiciliaI primi ricollocamenti dei migranti dall’Italia hanno preso il via nelle ultime settimane, con criteri che hanno dato spazio a critiche e dubbi circa le modalità di esecuzione delle disposizioni giunte da Bruxelles, per l’accessibilità limitata al diritto di asilo e gli standard minimi di accoglienza riscontrati. Il presidente del Centro Astalli Padre Camillo Ripamonti condanna così i più recenti sviluppi in materia di migrazioni forzate: “siamo contrari ad un ricollocamento che riguardi solo poche migliaia di richiedenti asilo provenienti da Eritrea, Siria, Iraq e Repubblica Centrafricana. Sono moltissime le aree di crisi nel mondo che costringono ogni giorno alla fuga milioni di persone”.

È questo lo scenario che emerge dopo l’avvio, dallo scorso settembre, delle operazioni da parte dell’Unione europea per l’attivazione degli hotspot, centri di identificazione di migranti, in quelli che sono considerati i “punti caldi” del continente – in Italia e in Grecia soprattutto – perché maggiormente colpiti dall’eccezionalità dell’afflusso di persone. La Commissione sta vagliando il ricollocamento di 160 mila migranti richiedenti asilo, obiettivo per il quale da diversi mesi il presidente Juncker reclama sforzi e contributi congiunti da parte degli stati che, tuttavia, faticano ancora ad arrivare: al momento, soltanto otto paesi su ventisei in Italia e tre in Grecia hanno inviato propri ufficiali di collegamento; solo nove paesi hanno dichiarato disponibilità ad accogliere settecento persone. Resta da scalfire l’ostilità degli stati balcanici propensi, al contrario, ad una politica di chiusura e di sbarramento delle frontiere.

Con il piano di interventi negli hotspot, il cui avviamento effettivo è previsto tra novembre e dicembre prossimi, i leader europei hanno predisposto un sistema di prima accoglienza in strutture già esistenti e funzionanti, finalizzato all’identificazione e alla registrazione dei migranti tramite foto segnalamento e rilevazione delle impronte digitali. Appositi controlli sanitari alle persone si aggiungono a completamento della prassi, da effettuarsi entro 48 ore dall’arrivo, con possibilità di proroga fino ad un massimo di 72 ore.Per l’Italia, si parla dell’allestimento di cinque centri al sud: oltre all’isola di Lampedusa, saranno interessate le località siciliane di Augusta, Pozzallo, Porto Empedocle e Trapani. Per la Grecia, si pensa inizialmente all’isola di Kos ed al porto ateniese del Pireo.

Le operazioni per gli hotspot sono gestite dalle forze dell’ordine presenti sul posto, coadiuvate da alcuni funzionari delle agenzie europee quali Europol, Eurojust, Frontex ed Easo, impegnati in ruoli di supervisione, ma privi di autorità di intervento. Lo scopo del sistema prevede l’inserimento nel programma di ricollocamento in suolo UE, secondo quote ripartite, di migranti e profughi che dispongano dei requisiti richiesti per effettuare domanda d’asilo, e che si siano sottoposti a tutte le procedure previste dal caso. Nei centri di accoglienza, i migranti vengono trattenuti fino ad identificazione avvenuta, per essere trasferiti successivamente nel paese chiamato a prestare asilo. È prevista, inoltre, la presenza di personale dell’Unhcr con formazione giuridica e doti di mediazione culturale, per fornire spiegazioni ai migranti sul funzionamento del piano di ricollocamento nei paesi UE, e sui diritti e gli obblighi del richiedente asilo.

Il rifiuto a farsi identificare e registrare comporta per i migranti il trasferimento nei Centri di identificazione ed espulsione (Cie): la permanenza qui si configura come un periodo di detenzione, al termine del quale le autorità procedono con il rimpatrio del migrante.Migranti in fuga verso l'Europa. Politica europea dei ricollocamenti

Ad ispirare la politica di asilo in territorio europeo è la Convenzione di Dublino, oggetto di rimessa in discussione in sede UE dopo le disposizioni di Juncker. Gli accordi di Dublino III, relativamente al Regolamento UE n°604/2013, in vigore dal 1° gennaio 2014, si richiamano ai principi generali delle versioni antecedenti, rispettivamente del 1990 e del 2003: ogni richiesta di asilo deve essere esaminata da un solo stato membro; la valutazione di una domanda di protezione internazionale compete in modo prioritario allo stato che abbia svolto il maggior ruolo in relazione all’ingresso e al soggiorno del richiedente nel territorio degli stati membri, salvo eccezioni.

Se da un lato il piano Juncker è finalizzato a rendere più veloci i rimpatri, e a creare hotspot nei paesi d’arrivo dei migranti, per verificare quanti dispongano del diritto alla protezione internazionale e quanti no, dall’altro prevede misure di detenzione e di selezione delle persone, a fronte della stretta sul sistema delle identificazioni.

La criticità della questione si palesa nel caso di tutti quei migranti intenzionati a raggiungere i paesi del nord Europa: per questi, il rifiuto a farsi registrare al momento di arrivo, nonché il conseguente trasferimento in centri detentivi, fa i conti con il pericolo di veder minacciati i propri diritti. L’altro nodo cruciale ruota attorno all’adozione del criterio della nazionalità dei migranti, che rischia di produrre una distinzione tra rifugiati di serie A e rifugiati di serie B, come rilevato dal Centro Astalli. Va precisato, infine, che l’Africa sub-sahariana e l’Afghanistan non rientrano nel piano UE delle quote di ricollocamento. Il quadro che ne deriva impone il ricorso a misure politiche di modifica immediate: “Chiediamo alla Comunità europea un’assunzione maggiore di responsabilità per la creazione di canali umanitari sicuri, una redistribuzione equa dei richiedenti asilo in Europa ed il definitivo superamento del Regolamento di Dublino”, ha concluso Ripamonti.

Clara Agostini(28 ottobre 2015)

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