Mohamed Keita: Roma – Londra passando per Capalbio

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Una delle foto in esposizione a FotoGrafia – Festival Internazionale di Roma – photo credits: Mohamed Keita (www.mohamedkeita.it)

Non a tutti, e non tutti i giorni, capita di ricevere dei complimenti (per di più autografati) da Josef Koudelka in persona. Ma a Mohamed Keita è capitato, eccome.

Capalbio, 2015. Marco Delogu, fotografo, ideatore di FotoGrafia Festival Internazionale di Roma, e oggi direttore dell’Istituto di Cultura Italiana di Londra, istituisce il Festival PhC – CapalbioFotografia, dal sottotitolo evocativo: This land is your land. Il festival conta tra i premi anche lo Young/old photographer; ad assegnarlo, una giuria composta proprio da Delogu e Koudelka. Quando i due si consultano, non hanno dubbi: il premio spetta al giovanissimo Mohamed Keita. Koudelka gli lascia un biglietto per annunciare la vittoria: è la prova che sancisce definitivamente – se ancora ce ne fosse stato bisogno – l’appartenenza di Keita alla schiera dei fotografi professionisti.

Di strada in questi anni Mohamed ne ha fatta tanta. Della sua storia di rifugiato si è parlato a lungo: prima il viaggio dalla Costa d’Avorio, l’arrivo in Sicilia, il trasferimento a Roma, la permanenza alla Stazione Termini, che di lavoro non ce n’era e di casa nemmeno: “quando sei senza genitori è tutto più difficile. Le persone dicono di volerti bene, ma poi ti abbandonano”. E poi quella visita che lo voleva maggiorenne e fuori dall’Italia entro cinque giorni, e un ricorso impugnato da un diciassettenne Keita grazie agli avvocati di Civico Zero. Infine, l’accettazione definitiva della richiesta d’asilo, e un’altra vita, fatta di studio, lavoro e – grazie a Civico Zero, che gli mette in mano la prima usa e getta, anche tanti, tanti scatti.

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Il biglietto autografato da Josef Koudelka che annunciava l’assegnazione del premio Young-Old photographer a Mohamed Keita

Keita la sua fama la deve a un bagaglio: il suo. Quel bagaglio, che è diventato materiale per la sua prima foto celebre, J’habite a Termini – di chilometri ne ha fatti tanti: da esperienza di vita diventa finalmente arte, in esposizione a New York grazie alla lungimiranza della designer Diana Balmori. Eppure non c’erano progetti in quello scatto: “ho scattato quella foto per me, per non dimenticare quello che stavo passando” racconta Mohamed.

Subito dopo si aprono le porte della Festa dell’Unità, della Camera dei Deputati, e naturalmente delle mostre cittadine: al momento sono due le sale espositive che ospitano le sue foto a Roma: il Macro di via Nizza e il piano superiore del centro commerciale Cinecittà Due.

Oggi Mohamed Keita è un fotografo affermato. Gira il mondo alla ricerca di volti e paesaggi, sulle tracce delle proprie esperienze – come nel caso dei documentari siciliani appena girati tra Pozzallo e Porto Palo “per rivedere i posti dove sono arrivato quando sono sbarcato in Italia e parlare con le persone” – o delle storie personali dei suoi viaggi africani, pieni di polvere, tessuti e colori. A breve volerà verso Londra, ancora una volta con Delogu, per un concorso di fotografia finanziato dall’Istituto di Cultura Italiana.

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Una delle foto scattate da Mohamed Keita in Mali (photo credits: www.mohamedkeita.it)

Quando è a Roma Mohamed scatta, ma sempre con ironia, senza mai dimenticare quel limite etico che impedisce di esercitare attenzioni morbose verso le persone, specie quelle in difficoltà: “il divertimento possiamo comunicarlo, la tragicità no”. Le sue foto hanno un tocco surreale e delicato, che scopre le contraddizioni di una città tanto grande e tanto sfaccettata: “A Roma si è fotografato tanto” spiega , “io cerco di dare un punto di vista diverso”. Che parte sì da chi è dall’altra parte dell’obiettivo, ma racconta tanto anche di sé: “è importante dare ascolto al soggetto, certo, ma non bisogna dimenticare noi stessi”.

Ecco perché nei tre anni trascorsi a Civico Zero Keita ha scelto di insegnare ai ragazzi la sua passione, tenendo il corso di fotografia che ora ha passato la mano ad Andrea Alessandrini: “Il bello è raccontare quello che ci piace fare” racconta, anche se questa passione non viene necessariamente seguita dagli allievi: “non tutti possono avere il coraggio di fare quello che ho fatto io, cercando di far diventare la fotografia il proprio mestiere”. C’è chi deve pagare delle spese, chi non può contare su sostegni reali, chi non se la sente di rischiare per inseguire un sogno.

Nonostante sia ormai un fotografo affermato e la sua vita sia cambiata dai tempi di Termini, Mohamed di amici senzatetto ne ha ancora. Come il suo amico di San Lorenzo che dorme sotto il ponte della Tiburtina: “non mi vergogno di andare a prendere il caffè con lui. La differenza tra me e chi è in difficoltà è solo che io ho una casa, loro no. E solo perché io posso permettermi di comprare un panino, non significa che sia necessariamente migliore di loro”.

Veronica Adriani

(3 dicembre 2015)

Le foto di Mohamed Keita sul suo sito ufficiale

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