Sono le 10 di sera nel centro di accoglienza notturna per minori afghani in transito A28, in via Aniene. Seduti intorno alla tavola apparecchiata 6 ragazzini mangiano pizza e bevono tè offerti dai volontari di Intersos. Guardandoli il primo pensiero che arriva, fulminante e martellante, è: “Quanto sono piccoli”. Piccoli ora – il più giovane ha 12 anni – più piccoli ancora quando sono partiti dal loro paese. Completamente soli.
In Afghanistan durante il ramadan, mese di purificazione che prevede l’astensione da cibo e bevande dall’alba al tramonto, i ritmi di vita cambiano completamente: “Chi può evita di lavorare, specie nelle ore più calde della giornata. Ci si alza alle 3 per mangiare e pregare. Quindi si torna a dormire e ci si rialza intorno alle 11 per fare le abluzioni prima della preghiera delle 13.30” e così di seguito fino all’iftar: “Interrompiamo il digiuno bevendo acqua, alcuni consumano dolci, poi si va a pregare in moschea e si cena tutti insieme”. Quando si parla di cibo tra i ragazzi scatta una discussione animata sulle ricette tipiche: vincono il gilibi e il ghaboli palane, rispettivamente un dolce e un piatto a base di riso, verdure e carne.
Alla domanda “Come state trascorrendo il ramadan in Italia” cala un silenzio imbarazzato. Un ragazzino dai lineamenti infantili ma dall’espressione troppo seria per la sua età guarda verso Haroun, il mediatore culturale di Intersos, e confessa: “Provo molta vergogna perché non posso fare il ramadan”. L’obbligo del digiuno non è previsto per i bambini e per chi è in viaggio. Ma loro avvertono comunque il peso di una rinuncia dolorosa: “Nella mia vita 2 sono le cose più importanti: osservare il ramadan e aiutare i poveri durante questo mese” spiega un altro ragazzo. “Anche se siamo in viaggio facciamo le preghiere, ma il ramadan è difficile perché finché non siamo in un posto fisso non mangiamo bene. Per ogni giorno perso dovremo recuperare successivamente con 60 giorni di digiuno”.
Vedendoli giocare a carte e ascoltare musica si fa fatica a realizzare che da soli hanno attraversato l’Iran, la Turchia, la Grecia. Ma la spensieratezza che sono riusciti a conservare porta comunque i segni di quello che hanno passato: una benda su un braccio, un sorriso rovinato, il modo di fare adulto che stride con i volti di adolescenti. E allora affiorano alla mente le immagini di Nel mare ci sono i coccodrilli: la separazione dalla famiglia e la lotta per sopravvivere e proseguire il viaggio, tra la ricerca di qualcosa da mangiare, i lavori pesanti, le botte, i trafficanti di uomini, i pedofili… I morti che nessun bambino di 8-9 anni dovrebbe mai vedere.
Per loro l’Italia è solo una tappa intermedia del lungo viaggio che li porterà in nord Europa, principalmente in Svezia e Norvegia. “In Italia il 99,9% dei minori che chiede l’asilo politico lo ottiene” spiega Alessandro Uberti, responsabile di A28 per conto di Intersos “In Svezia a causa della crisi c’è stato un irrigidimento e attualmente solo il 10-12% dei richiedenti si vede riconoscere lo status di rifugiato. Nonostante questo loro scelgono di rischiare; sanno che in caso di rifiuto saranno rimandati in Afghanistan, ma se la domanda viene accettata potranno contare su un percorso di integrazione reale. In Italia hanno paura di finire in mezzo alla strada”.
Una volta varcati i confini dell’UE i piccoli viaggiatori afghani diventano invisibili: “Stanno il più possibile nascosti per evitare il foto segnalamento”. Il Regolamento di Dublino II stabilisce infatti che l’asilo debba essere garantito dal primo paese UE in cui il migrante viene identificato. Si innesca così un meccanismo perverso: un minore afghano schedato in Italia se sottoposto a controllo in un altro paese sarà rispedito qui. Di conseguenza i ragazzini per raggiungere il nord Europa evitano di fornire i documenti, ma in questo modo sono esclusi da ogni forma di tutela, perché per accedere a un centro di accoglienza è necessario farsi registrare.
Intersos è riuscita a scardinare questo sistema con A28, centro di accoglienza notturna per minori afghani in transito a Roma aperto nel 2011 con l’autorizzazione di Roma Capitale nell’ambito dell’emergenza freddo. “Noi siamo partiti da un’analisi dei flussi dalla quale è emerso che in media su Roma transitano 25 minori afghani ogni settimana. Di conseguenza abbiamo deciso di creare un centro che offrisse accoglienza notturna per 15 giorni con 24 posti letto”. L’obiettivo di Intersos è garantire tutela ai piccoli viaggiatori senza intrappolarli nella gabbia di Dublino II: “Basta vedere i dati del Comitato minori stranieri: quasi il 50% degli afghani accolti nel circuito residenziale degli enti locali su piano nazionale scappa, dopo pochi giorni si rende irreperibile. Nel 2012 al Comune di Roma si sono rivolti 87 minori afghani, nello stesso periodo da noi ne sono passati 670. Questo dà le dimensioni di un fenomeno invisibile, sotterraneo, che attraversa il paese. E che ha per protagonisti dei ragazzini”.
In alcuni casi il centro, che opera in sinergia con Civico Zero, mantiene i contatti con i ragazzi dopo che hanno lasciato Roma: “C’è chi è riuscito a raggiungere i parenti, altri sono andati a vivere in una casa famiglia”. Ma ci sono anche quelli che vengono rispediti indietro: “Io ho vissuto per 8 anni in Svezia” racconta un ragazzo: “Una mattina sono andato a scuola, mentre ero a lezione è entrata la polizia. Mi hanno preso, caricato su un aereo e rimandato in Italia”. “La sua storia è la rappresentazione di una normativa sbagliata e di una interpretazione e applicazione ancora peggiori” commenta Uberti “Perché dopo 8 anni andare a prendere un ragazzo in una scuola vuol dire stroncare la vita delle persone inutilmente”.
È possibile aiutare i bambini afghani ospitati ad A28 donando giacconi, maglioni e scarpe di taglie adatte ad un adolescente di 15-16 anni, portando un dolce, fino alle 18.00 oppure dalle 22.00 alle 8.00, sostenendo il centro con un’offerta economica: il costo per un ragazzo, per una notte, è di 21,22 €. Per avere ulteriori informazioni e per conoscere l’A28 è possibile rivolgersi al centro, in via Aniene 28, chiedendo di Alessandro.
Sandra Fratticci (7 agosto 2013)
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