Medici senza Frontiere presenta Fuori Campo: migranti esclusi dall’accoglienza

Medici senza Frontiere alla presentazione del dossier Fuori Campo a Metropoliz
Medici senza Frontiere alla presentazione del dossier Fuori Campo a Metropoliz

Fantoum etiope ha 47 anni, è in Italia dal 1994 e lavora in fabbrica con un contratto regolare, ma con la crisi economica finisce in mobilità e poi perde lavoro e casa. Oggi vive con moglie e due figli in  via Tiburtina 1099, nella sede che era del quotidiano la Stampa, con una sessantina  di famiglie di origine africana e anche con alcuni italiani. Ha un permesso per soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, ma poiché non ha la residenza non riesce a iscriversi al Servizio Sanitario Nazionale e ogni volta che qualcuno in famiglia si ammala l’ansia lo assale. Ahmad ha 33 anni è afghano insegnava inglese in una scuola elementare, ora vive a Trieste in una baracca con le pareti di cartone, nei silos abbandonati a pochi passi dalla stazione. Sono loro alcuni dei 565 migranti, prevalentemente richiedenti o titolari di protezione internazionale, regolarmente presenti nel nostro paese, intervistati in tutta Italia nel 2015 da  Giuseppe De Mola, ricercatore e operatore umanitario nell’ambito del progetto Fuori Campo – Richiedenti asilo e rifugiati in Italia: insediamenti informali e marginalità sociale di Medici senza Frontiere. Sono prevalentemente richiedenti asilo e rifugiati che non vivono nel sistema di accoglienza istituzionale, ma in situazioni precarie: parchi, baraccopoli, case occupate, sotterranei delle stazioni, sono privi di assistenza da parte delle istituzioni e non possono usufruire del Servizio Sanitario Nazionele. In una situazione analoga si trovano, oltre 10mila fra richiedenti asilo e rifugiati denuncia Medici senza Frontiere alla presentazione del dossier Fuori Campo la sera di martedì 12 aprile a Metropoliz in via Prenestina 913 a Roma. “Quando sono arrivato in questa fabbrica dismessa e poi occupata dove abitano persone provenienti da Sud America, Africa, Europa dell’Est e Italia, la ricerca era già chiusa, ho pensato che questo spazio di riciclo, autogestione, sperimentazione di convivenza con il quartiere era il posto giusto dove presentare il dossier” esordisce De Mola prima di snocciolare i dati del rapporto.

Dai numeri emerge la consistenza del problema

Sono stati oltre 150 mila gli sbarchi in Italia nel 2015, senza considerare la via dei Balcani, “meno di 30mila i posti ordinari disponibili tra prima accoglienza e SPRAR ai quali si aggiungono 80mila posti in strutture straordinarie, come alberghi, dove gli enti gestori possono avere buona volontà, ma non hanno nessuna esperienza nell’accoglienza dei rifugiati”  prosegue De Mola. Non si è arrivati alla paralisi del sistema di accoglienza solo perché oltre 60mila, di coloro che sono arrivati via mare, si sono allontanati dai centri di prima accoglienza per sottrarsi all’identificazione che li avrebbe obbligati a fermarsi in Italia, anziché raggiungere la meta del viaggio nell’Europa del nord.

E’ la mancanza di posti una delle ragioni principali del ritardo di ingresso nel sistema di accoglienza

Pochi, insufficienti i posti previsti dal sistema di accoglienza, lunghe attese per formalizzare la domanda di asilo, ma anche l’uscita dal sistema di accoglienza di chi come Fantoum perde lavoro e casa e quindi non riesce a portare a compimento il suo percorso di inclusione sociale, queste sono le 10mila persone invisibili raccontate nel rapporto di Medici senza Frontiere che vivono in condizioni precarie in insediamenti informali, spontanei, generalmente all’aperto. La precarietà, le  condizioni di vita drammatiche con metà dei siti privi di acqua e elettricità, la mancanza di assistenza istituzionale oltre che la difficoltà di accesso alle cure mediche caratterizza la vita di questa parte della popolazione che rischia di aumentare di numero con i nuovi arrivi. Luoghi spesso ignorati dalle istituzioni, salvo nei casi nei quali siano oggetto di sgombero. Poiché l’accesso al Servizio Sanitario Nazionale è vincolato a residenza o domicilio, la precarietà abitativa comporta che un rifugiato su tre non sia iscritto al Servizio Sanitario e che due su tre non abbia accesso a medico di famiglia e pediatra.

Quali soluzioni?

Medici senza Frontiere chiede che:

  • le condizioni di vita anche negli insediamenti informali diventino dignitose, anche attraverso il coinvolgimento dei migranti
  • l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale vincolato al luogo di effettiva dimora anche se temporaneo
  • i richiedenti asilo dalla presentazione della richiesta di asilo possano avere assegnato il medico di famiglia
  • siano previsti nella sanità pubblica l’impiego stabile di mediatori linguistico-culturali
  • si ampli accoglienza non in strutture di emergenza e con coinvolgimento degli Enti locali
  • vengano monitorati gli insediamenti informali e orientati ai servizi sociali i casi vulnerabi.

Nicoletta del Pesco(12 aprile 2016)

 Leggi anche:Tra proteste e investimenti esteri, sarà l’Etiopia il nuovo punto di partenza dei migranti?I migranti della tendopoli Tiburtina: verso l’Europa passando per l’infernoCentro Baobab immagini e voci in transitoUna lingua per i rifugiati. Riflessioni al seminario di scuolemigranti