I rifugiati nel mondo: nei loro occhi la nostra storia

convegno centro astalli per la giornata mondiale del rifugiato 2016
In occasione della Giornata mondiale del rifugiato, giovedì 17 giugno l’Università Gregoriana Pontificia ha ospitato un convegno organizzato dal Centro Astalli, promotore della campagna Negli occhi dei rifugiati la nostra storia.

Il rifugio una casa, lo straniero un vicino, l’ospite un membro della nostra comunità: tre associazioni di significato che dovrebbero valere come risposta al recente quadro tracciato da UNHCR in merito al numero di rifugiati nel mondo, arrivati a quota 65,3 milioni nel 2015, cinque milioni in più rispetto all’anno precedente. Tre associazioni di significato che guardano verso l’unica direzione di una rinnovata coscienza umana e di un maggior senso di responsabilità, a livello italiano ed europeo. L’auspicio si è alzato da più voci durante un colloquio sulle migrazioni promosso dal Centro Astalli, che si è svolto il 17 giugno all’Università Pontificia Gregoriana a Roma, in occasione della Giornata mondiale del rifugiato del 20 giugno.

Nella complessità e nella drammaticità dell’attuale momento storico si riflettono il contenuto ed il valore della campagna 2016 del Centro Astalli, intitolata Negli occhi dei rifugiati la nostra storia. Camillo Ripamonti, presidente del Centro, è intervenuto per esporre i punti principali dell’iniziativa. Gli occhi in questione indicano lo sguardo che spesso un rifugiato è costretto a tenere basso, a causa della sopraffazione, dell’umiliazione, e della violenza subita. “Sono occhi che hanno visto dolore, distruzione, morte ed ingiustizia. Vi si rispecchia la nostra storia, come cittadini italiani, europei e del mondo”. Ripamonti ha poi aggiunto che “la profondità degli occhi dei rifugiati rischia di segnare l’abisso nel quale come Comunità Europea ci stiamo per perdere, quando facciamo venir meno la centralità della vita umana”.
A questa buia visione se ne intreccia una seconda, che vuole riempire di luce lo scenario delineato da Ripamonti, in linea con un pensiero di giustizia, di bellezza e di vita, accompagnato da uno sguardo che sia proiettato in alto verso la felicità. “Negli occhi dei rifugiati c’è al tempo stesso il senso del vivere insieme” ha affermato il presidente del Centro Astalli.

Da qui il concetto di cittadinanza, in merito al quale il Prof. Gustavo Zagrebelsky ha preso parola nel corso del dibattito, partendo da un richiamo al diritto pubblico per trattare la concessione dell’asilo come superamento del diritto di proprietà individuale. L’accettazione dell’altro ‘a casa mia’, fatta coincidere con il diritto di asilo, deve tener conto del diverso contesto, rispetto a quello odierno, che ha fatto da sfondo alla sua formulazione giuridica, sancita dalla convenzione di Ginevra del 1951. Con quest’ultima è stato introdotto il diritto di asilo in termini individuali, per una persona vittima di persecuzioni per motivi di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche. “Oggi suona un paradosso il binomio costruito attorno alle figure di rifugiato politico e migrante economico. La verifica delle singole condizioni personali risulta un’ipocrisia, e diventa solo un ostacolo alla burocrazia”.

L’assurdità di tali considerazioni trova nella complessità del fenomeno migratorio di questi anni la propria spiegazione.
La dimensione e le cause delle migrazioni recenti scavalcano l’accezione di confini nazionali degli stati, affermatasi con l’avvio dell’epoca moderna. La post modernità si manifesta anche nel superamento di tali confini, che costituiscono il principale effetto della globalizzazione economica trainata dagli interessi e dagli affari finanziari delle maggiori potenze mondiali. Un cambiamento, questo, che non è andato di pari passo con quello registrato nella politica dell’accoglienza. “I confini continuano ad esistere solo per i poveri” ha sentenziato Marco Tarquinio, direttore del quotidiano Avvenire, presente all’incontro in qualità di moderatore.

Alla luce del quadro geopolitico odierno, il mondo è chiamato a globalizzarsi nel campo dell’apertura verso l’altro, mediante una crescita culturale che promuova il diritto all’accoglienza. “A questo corrisponde un dovere che riguarda tutti, e non solo le istituzioni, fondato su esperienze di sinergia che hanno inizio anche dal basso” ha affermato Zagrebelsky.

L’appello per l’adozione di un differente punto di vista è giunto anche dal Cardinal Montenegro arcivescovo di Agrigento: “Continuiamo a vedere dall’alto l’arrivo di quanti giungono in Italia ed in Europa. Al contrario, siamo tenuti a guardare la realtà che li rende tristemente protagonisti secondo una prospettiva alla pari. La storia dei rifugiati si incrocia con la nostra. Loro ci sono perché ci siamo noi con le nostre scelte sbagliate”.
L’intervento del Cardinal Montenegro è sfociato in una condanna all’atteggiamento verso gli immigrati in Italia dettato da convenienza ed opportunismo, a fronte del valore economico e sociale rappresentato dagli stessi. “Li consideriamo muscoli e non uomini, e li sfruttiamo in termini lavorativi”.

Bastano alcune stime fornite dal Censis e dalla Fondazione Leone Moressa nel 2015 per chiarire il significato della denuncia mossa dal Cardinale. In termini di ricchezza, per la popolazione straniera presente in Italia si registra un saldo attivo di 3.9 miliardi di euro tra entrate e spesa pubblica per gli immigrati. Si contano 497.000 imprese avviate da stranieri, in molte delle quali hanno trovato lavoro anche cittadini italiani. 620.000 pensionati del paese sono mantenuti grazie a contributi versati da stranieri.

Clara Agostini
(22 giugno 2016)

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