“Quando devi insegnare italiano a dodici – quindici bambini che si trovano nella stessa classe ma presentano livelli linguistici diversi, devi inventarti un modo per farlo. Noi abbiamo deciso di lavorare sulle emozioni“. Francesco Canto sorride e racconta il suo mese nel centro estivo di Piuculture seduto sulle scale appena fuori dal teatro della scuola Mazzini. Dentro non si può parlare: troppo il caldo, tante le voci. I bambini sono sul palco e il chiasso arriva fino al piano terra: per trovare il teatro, ai genitori basta seguire la musica.
Francesco è volontario in Piuculture da ottobre, insegna anche al Borgo Ragazzi di Don Bosco. Insieme a Eleonora Basili ha tenuto un mese di lezioni di italiano per i ragazzi delle medie, nell’ambito del progetto Approdi, giunto al suo secondo anno di vita, proprio come il “fratello” Infomigranti.
Gli alunni di Francesco sono appena scesi dal palco per lasciare il posto ai bambini delle elementari. Il loro è stato uno spettacolo breve ma intenso: “lo abbiamo preparato in quattro giorni” spiega Francesco “dopo aver lavorato per un mese solo sui tempi verbali. Sulla base del loro livello linguistico, a ognuno è stato assegnato un tempo su cui ragionare e fare pratica”. Ma c’è una novità: sulla testa dei ragazzi, mentre si danno il cambio sul palco, spuntano dei cappelli colorati. Un modo per gestire i turni di parola? Sì, ma non solo: “l’idea nasce da Sei cappelli per pensare. A ogni colore è associato un tempo verbale con una relativa emozione. Inizialmente avevamo pensato di lavorare su Inside Out, ma poi i ragazzi sono stati un po’ indisciplinati con i compiti e abbiamo optato su altro” ride Francesco, che trae le idee sia dalla sua esperienza come docente di italiano che dalla sua passione per la PNL, programmazione neuro-linguistica.
Ai manager d’azienda l’idea dei cappelli è già ben nota: quando si deve prendere una decisione, ognuno ne indossa uno diverso, associato a un determinato tipo di pensiero: razionale, emozionale, positivo, negativo. Un modo, in azienda, per sviscerare il problema in tutti i suoi aspetti e analizzarlo in modo completo. Ma soprattutto, a scuola, uno strumento per lasciarsi andare alle emozioni, raccontando una storia da diversi punti di vista.
“La storia che si racconta sul palco è quella di un ragazzo migrante dal suo arrivo in Italia fino ad oggi. La difficoltà iniziale è espressa al passato remoto, con un cappello nero. Poi si passa all’imperfetto: è il tempo dell”adattamento, il cappello è blu. Le amicizie sono rosse, espresse al passato prossimo, mentre il presente, fatto di amici e fidanzata, è bianco. L’ipotetica, verde, si chiede come sarebbe stata la vita facendo scelte diverse”. E il futuro? “Giallo. Lo abbiamo immaginato al positivo”.
Per alcuni dei ragazzi non è stato facile lasciarsi andare: “il gruppo classe era davvero bello, ma la situazione vedeva da un lato un gruppo di ragazze più timide, dall’altro dei maschi molto vivaci”. Eppure tutti hanno trovato la loro dimensione: anche Arianna, che viene dalla Mongolia ed è timidissima, alla fine del corso è riuscita a raccontarsi. E così Oliver, che viene dalle Filippine, o Fabio, che è pakistano.
Anche ora che il corso è quasi alla fine, il lavoro sulle emozioni non si ferma: “in questa settimana vorremmo parlare del futuro: di come lo immaginano, dei loro progetti, di come si vedono dopo le medie” spiega Francesco, e poi aggiunge: “per mercoledì però, intanto, ho promesso i gavettoni“. E su questo davvero non si può deluderli.
Veronica Adriani
(13 luglio 2016)
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