Amministrazioni locali e SPRAR: cosa impedisce l’accoglienza?

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Accoglienza al Centro Baobab. Foto di Adamo Banelli

Perché i Comuni italiani scelgono di non aderire ai progetti SPRAR? E qual è il reale grado di conoscenza dei progetti e delle loro potenzialità? Lo racconta un’indagine condotta da Legautonomie e Fondazione Nilde Iotti, per far luce sulle perplessità delle amministrazioni locali sui progetti di seconda accoglienza.

L’indagine, presentata nel corso del convegno “Le comunità locali laboratori di convivenza e identità, accoglienza e integrazione”, è un viaggio da nord a sud dello Stivale, che fa emergere dati significativi dai 100 questionari scelti, fra i tanti, come i più rappresentativi. “Conosce lo SPRAR?” si legge nella prima domanda del questionario. Ed è strano notare che a fronte di un 47% che dichiara una buona conoscenza del programma, c’è un 44% che la ritiene “appena sufficiente”. Eppure, il 90% degli intervistati – Sindaci o amministratori locali legati al gabinetto del Sindaco – concorda sulla sostenibilità del progetto, pur non conoscendone sempre nei dettagli le forme di finanziamento previste.

Perché allora i comuni scelgono di non aderire? È ancora fresca la memoria dei fatti di Goro e Gorino, quando i cittadini dei due comuni, innalzando vere e proprie barricate, impedirono a 12 donne migranti l’accesso nei centri abitati, costringendo il pullman che le trasportava a invertire la rotta. Semplice razzismo? Le cose – mostra l’indagine – sono un po’ più complesse di così, almeno sul lato istituzionale.

Il 71% degli intervistati ritiene che l’accoglienza dei migranti attraverso lo SPRAR potrebbe essere efficace, a patto che tenga conto delle necessità locali: fabbisogno specifico di forza-lavoro, rivitalizzazione dei centri, creazione di occupazione. I comuni intervistati lamentano la mancanza di strutture in grado di accogliere, nonché di personale qualificato. Lamentano la mancanza di fondi che contestualmente al progetto offrano la possibilità di intervenire sui servizi sociali a tutto tondo o su categorie svantaggiate di cittadini italiani. “Emerge” commenta quindi Gentilini di Legautonomie “la difficoltà dei Sindaci nel far passare questo tipo di decisioni alla cittadinanza, quindi la necessità di giustificarle con altri interventi nel settore sociale”.

Eppure gli esempi virtuosi esistono: nel racconto di Danilo Breusa, Sindaco di Pomaretto, emergono tutte le potenzialità della buona accoglienza, diventata il fiore all’occhiello dei comuni provenzali della Val Pellice. Molto – va detto – si deve alla grande presenza delle strutture legate alla Chiesa Valdese, da sempre pioniera nel campo. Ma molto deriva anche dalla forza del piccolo comune, che ha fatto della trasparenza e del buon vivere un esempio da imitare.

Tante motivazioni al rifiuto non emergono dal sondaggio, ma dalle note a latere emesse dai Sindaci. Ce ne sono di dubbiosi, ma anche di delusi: “Il nostro Comune ha ospitato due ragazzi di un progetto SPRAR, fino a quando non hanno scelto spontaneamente di andar via. Nonostante ci fossimo impegnati al massimo per garantire loro un’ottima accoglienza, non si sono dimostrati interessati a rimanere” spiegano da Piovà Massaia – 680 abitanti in provincia di Asti – con più di un pizzico di rammarico, e aggiungono: “L’accoglienza è possibile, soprattutto nei piccoli centri come i nostri, ma se non vi sono opportunità economiche, sociali, di lavoro e di sviluppo diventa difficile che si trasformi in vera integrazione”. Gli fa eco il comune sardo di Oniferi: “Oniferi vorrebbe poter accogliere uno o due nuclei familiari, ma allo stato attuale non potrebbe perché non può esistere un’accoglienza fine a sé stessa. Non vogliamo creare parcheggi umani. Vorremmo accogliere, ma umanamente e dignitosamente”.

E mentre nei gradi centri urbani i migranti si trovano al centro di polemiche sul decoro cittadino, spesso rimbalzati da una città all’altra per la mancanza di strutture idonee di accoglienza, i piccoli comuni si arrangiano come possono: ospitano CAS, gestiscono alloggi privati insieme a Prefettura e cooperative sociali, propongono il recupero di strutture abbandonate. In quasi tutti i comuni non aderenti allo SPRAR si registra, comunque, una presenza di migranti. Segno che nessun comune rifiuta l’accoglienza tout court, ma si interroga su un quesito fondamentale: “quale inserimento sociale reale possiamo offrire?”.

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Veronica Adriani(23 novembre 2016)

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