“Il calcio è uno sport che unisce, che fa squadra e noi abbiamo creato un gruppo il cui obiettivo è non essere composto solo da albanesi ma anche da Italiani e da persone di tante altre nazionalità. Per noi integrazione vuol dire vivere insieme, divertirsi insieme” spiega Andreu Shpendi, presidente dell’Ass. Scanderbeg, dove già dal nome scelto si capisce che il team è italo-albanese. La sua squadra è una delle sei protagoniste del web reportage “Nessuno in fuorigioco”, primo documentario della testata MondoFutbol.com realizzato da Guido Montana e Aniello Luciano, che racconta piccole ma grandiose storie di condivisione e integrazione in tutta Italia attraverso lo sport più seguito al mondo: il calcio.“Nessuno in Fuorigioco” è la storia di un viaggio di quindici minuti nel quale si parte da Benevento con l’ASD Atletico Brigante, associazione nata dall’idea di giovani menti stanche della logica convenzionale del calcio moderno con l’obbiettivo di creare un calcio che aggreghi e unisca, per poi continuare con l’A.S.D. Rfc Ska Lions di Caserta, seconda tappa del viaggio. “E’ una squadra nata nel 2011 dall’idea di alcuni ragazzi con la passione per il calcio e per la musica ska”, spiega il capitano Kalifa Ahmed. “Ho conosciuto la squadra grazie ad un mio amico che adesso si trova in Francia, e anche se all’inizio non avevo tempo di giocare a pallone perché lavoravo molto, adesso posso dire che in questo team ho tanti nuovi amici e una famiglia che non speravo di trovare in Italia. Sono felice all’interno di questo gruppo”.Come Kalifa c’è anche Abdul che da pochi mesi fa parte della squadra di Caserta. “Vengo dalla Somalia, terra di guerra. Ogni persona che nasce lì deve imparare a salvarsi da sola. Adesso, invece, vorrei dimenticare tutto ma non ci riesco. Anche durante la notte, quando sto dormendo, il mio cervello pensa che mi trovo ancora in Somalia, in mezzo alla guerra e alla fuga”. Abdul racconta del suo viaggio. “Ho impiegato un anno per arrivare in Italia: prima sono arrivato in Etiopia, poi in Libia e infine ho attraversato il mare fino a Lampedusa. Ma solo io e altre 50 persone ci siamo salvate”.Da Caserta si arriva a Roma con la polisportiva “Atletico Diritti” squadra composta da studenti, migranti, detenuti ed ex detenuti. “E’ veramente un modello di integrazione perché è una squadra che si apre a tante esperienze diverse e a tanti vissuti diversi”, spiega la presidentessa Susanna Marieti.Anche i giovanissimi amano il calcio, a Casacalenda, a pochi chilometri da Campobasso, c’è Casa Giselda, unico centro d’accoglienza per minori in tutta la Regione Molise. Il calcio può essere, per loro, un ottimo strumento di inclusione “l’obiettivo è accompagnare i minori in questo percorso obbligatorio che hanno iniziato e aiutarli ad integrarsi in Italia”, spiega l’operatore sociale Giosuè Lentini. Casa Giselda è stata coinvolta attraverso la rete dello SPRAR e la FIGC nel progetto “Rete!” nato proprio con l’intenzione di promuovere l’inclusione sociale attraverso il gioco del calcio. “E’ un progetto che prevede che tutti gli SPRAR di Italia si riuniscano a Cesena per giocare a calcio. Una bella esperienza per i ragazzi che dopo mesi si ritrovano con vecchi amici e con nuovi compagni dei diversi centri d’accoglienza”.L’ultima tappa del viaggio: la Liberi Nantes di Roma, prima squadra di calcio in Italia composta interamente da rifugiati e richiedenti asilo. “Siamo orgogliosi di aver convertito un terreno abbandonato in un campo sportivo omologato insieme ai ragazzi rifugiati che hanno lavorato quattro mesi tutti i giorni come volontari”, spiega il presidente Alberto Urbinati.“Costruire qualcosa insieme è stata un’esperienza bellissima. I ragazzi hanno competenze e possono essere per noi di grande aiuto. Dobbiamo smettere di pensare che i migranti siano un problema perché in realtà sono una grande risorsa per tutti noi e qui lo abbiamo sperimentato”.Sei storie che, da nord a sud, e “grazie al pallone che rotola uniscono persone e provenienze diverse” spiega Guido Montana, direttore editoriale di MondoFutbol.com, “o aiutano anche a ricostruire una città colpita dall’alluvione del 2015, come nel caso della prima storia del web-reportage, quella dell’Atletico Brigante; oppure vedere giocare insieme migranti, studenti universitari, detenuti ed ex detenuti come avviene all’Atletico Diritti. Il calcio, insomma, costruisce e ricostruisce: rapporti, città, luoghi, idee, comunità”.E’ il calcio che va oltre lo spettacolo e l’aspetto agonistico, fra pari opportunità, inclusione e pregiudizi da superare non solo nel terreno di gioco ma anche nella vita quotidiana dove nessuno dovrebbe essere fuori gioco. Mai.
Cristina Diaz22/02/2017
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