Le strade le fanno le donne che le attraversano. Una frase semplice, ma che porta con sé un messaggio: le donne non sono vittime, non hanno bisogno di essere salvate o protette, ma vogliono riconquistare i loro spazi nella società senza conformarsi ai ruoli imposti dalla cultura dominante. Ed è proprio questo il messaggio, in estrema sintesi, portato in piazza dalle femministe di Non una di meno che lo scorso 25 novembre hanno percorso le strade di Roma e di molte altre città del mondo, dopo oltre un anno di incontri in cui si è scritto il Piano antiviolenza presentato pochi giorni prima della manifestazione a Roma e Milano.Tra la moltitudine che sabato scorso è scesa in piazza, anche tante donne migranti che ogni giorno lottano contro le disuguaglianze che le vedono discriminate sia in quanto donne che come straniere. Le donne migranti non si sono limitate a riconquistare il terreno pubblico della strada. Hanno infatti partecipato attivamente alla stesura di quel piano antiviolenza femminista e intersezionale in cui sono presenti come soggetti e non oggetti, in cui si grida, così come in piazza “Basta confini!”, “Basta reclusioni amministrative!”, “Basta razzismo!”, “Basta violenza!”.Una piazza colorata, quella del 25 novembre, che ha voluto iniziare simbolicamente il suo corteo con un presidio davanti al Cie romano di Ponte Galeria, in cui ormai sono recluse solo donne in attesa di identificazione e rimpatrio. Un confine fisico e simbolico, quello del Cie, superato dalle grida di solidarietà delle donne che si sono raccolte al suo esterno unite a quelle che provenivano dall’interno e che dicevano “Libertà”.Si inizia e si finisce insieme, si sente gridare durante il corteo, mentre il passaggio della moltitudine di donne lascia il segno sui muri della città: “Minniti, la sicurezza che serve casa e reddito per tutti*”, e ancora “Raggi e Baldassare, nelle baracche andate voi”. Riferimenti chiari alle politiche che trattano come emergenze la violenza sulle donne – militarizzare le strade per renderle più sicure – e le migrazioni, stringendo accordi con Libia e Turchia, militarizzando l’accoglienza con l’apertura dei Cie.Si grida, si sorride, durante il corteo, si balla tutte assieme. Perché, come si legge in conclusione del piano “abbiamo trovato una voce collettiva e non smetteremo di usarla. Abbiamo un piano, e noi siamo la forza per realizzarlo”.
Testo di Simona SotgiuFoto di Stefano Majolatesi(29 novembre 2017)
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