Si tratta della più grande percentuale di popolazione giovanile mai esistita prima d’ora nella storia. Circa il 42% della popolazione dell’Africa subsahariana – una regione che per estensione equivale a 2,5 volte l’area totale dell’Europa – è di età compresa tra i 10 e i 24 anni. Complessivamente nel 2030 la popolazione africana raggiungerà 1,7 miliardi di persone e 3 miliardi nel 2063. Questo aumento di popolazione inciderà anche sulla crescita del tasso di migrazione. Se il sistema della cooperazione internazionale non investirà da subito sui sistemi di formazione dei paesi di origine, la mancanza di opportunità di impiego potrebbe spingere questi giovani, provenienti da aree periferiche e rurali meno sviluppate rispetto ai centri urbani, a lasciare il loro paese per raggiungere i paesi del ricco e sviluppato Occidente.Come trasformare il dividendo demografico dell’ Africa Sub Sahariana, cioè l’espansione del segmento di popolazione in età da lavoro che dà come risultato anche l’aumento del potenziale di sviluppo economico, da una sfida a un’opportunità di sviluppo?Diverse “ricette” sono state fornite nel corso del seminario su “Migrazione e Dividendo Demografico: mobilità dell’Africa Sub-Sahariana” organizzato il 23 maggio dal ministero degli Esteri (MAECI) e dal Fondo per la popolazione delle Nazioni Unite (UNFPA), in collaborazione con l’Associazione italiana Donne per lo Sviluppo (AIDOS) e con il sostegno dell’Agenzia Italiana per lo Cooperazione allo Sviluppo (AICS).“La mancanza di livelli di istruzione adeguati è uno dei motivi che spinge i giovani a migrare”, ha sottolineato Jayathma Wickramanayake, inviata speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite per i giovani; “lavoriamo con i governi per permettere alle donne di decidere, fornendo risorse, strumenti e formazione tecnica per la pianificazione famigliare – ha aggiunto Arthur Erken, antropologo e direttore della Divisione Comunicazione e Partenariati strategici dell’Unfpa – oggi meno del 20% delle donne usa strumenti di contraccezione, ma il 30% vorrebbe averli. Abbiamo bisogno di 700 milioni di dollari per fornire questi strumenti in 46 paesi da ora al 2021 , ma nel 2017 – ha denunciato – abbiamo avuto a disposizione 150 milioni, 50 meno del necessario”.Concorde la presidente dell’Aidos, Grazia Panunzi : “La maggior parte della popolazione giovanile africana è femminile – ha spiegato – ma la condizione che le ragazze vivono non è neutra e la discriminazione che le accompagna sin dalla nascita non permette le stesse possibilità che invece vengono offerte ai ragazzi. Garantire la frequenza scolastica e l’accesso all’istruzione secondaria, maggiormente impedita al sesso femminile, permetterebbe loro di avere accesso al mondo del lavoro. Allo stesso tempo si deve lavorare per evitare i matrimoni precoci e per portare avanti la formazione sulla salute riproduttiva. C’e’ poi il fenomeno della violenza di genere – ha concluso la presidente Aidos – che non è un’emergenza come spesso viene descritta e affrontata, ma un fenomeno strutturale alle diverse società che accompagna la vita delle donne”.Secondo le stime presentate dagli esperti durante il seminario “appropriati investimenti in capitale umano e corrette politiche di sostegno al lavoro a favore dei giovani nei paesi dell’Africa Subsahariana, potrebbero valere almeno 500 miliardi di dollari all’anno per 30 anni, pari a circa un terzo del PIL attuale della regione”.Per quanto riguarda il nostro paese, nel 2017 ha erogato un contributo di 12 milioni di dollari indirizzato a iniziative di protezione della salute e della vita di donne e ragazze nei paesi partner dell’Unfpa. L’evento era parte del Festival dello sviluppo Sostenibile, organizzato annualmente dall’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) per promuovere e diffondere una cultura della sostenibilità nella società italiana.
Francesca Cusumano(23 maggio 2018)
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