Una ricerca del CNR ha rilevato l’importanza del lavoro nell’orto per i migranti nei centri di prima accoglienza. Questo il tema principale della conferenza “L’orto alimento dell’anima e del corpo, dall’hortus monasticus agli orti contemporanei”, tenuta al CNR il 29 maggio 2018.
Gli orti rappresentano un’esperienza, didattica, pedagogica e sociale principalmente per i minori, li aiuta a socializzare tra pari, gli insegna la disciplina che serve nel lavoro, consente anche di recuperare un proprio spazio nel mondo.
L’orto nel processo d’integrazione nei centri di prima accoglienza
“L’integrazione è un processo complesso. Le persone rimangono per mesi nei centri di prima accoglienza, per questo è importante da subito muoversi passo dopo passo verso l’integrazione e non fermarsi solo ai bisogni primari”. Maria Eugenia Cadeddu illustrando i primi risultati e riflessioni dello studio, evidenzia il significativo impatto del lavoro negli orti nel favorire l’integrazione.
Il lavoro negli orti e la socializzazione
La ricerca del CNR ha inoltre fornito una prima mappatura degli orti sociali nel Lazio. Tra tutti rappresenta una realtà d’eccellenza il giardino del centro d’accoglienza dell’Infernetto dove la coltivazione si è estesa anche a molti ortaggi provenienti dai paesi d’origine degli ospiti. Inoltre, attraverso il progetto alternanza scuola-lavoro, ha coinvolto tanti giovani del territorio favorendo la socializzazione e l’inserimento dei ragazzi stranieri nel contesto locale.
Le realtà di Roma e provincia
Infernetto non è l’unica realtà, ci sono anche orti più piccoli a Morlupo, Fiumicino, Genazzano e Velletri: anche qui si sono osservati buoni risultati di integrazione tra migranti e italiani. Il lavoro in questi orti apporta significativi risultati anche per la didattica, migliora la socializzazione, occupa il tempo libero, favorisce la comunicazione tra pari. Tutti gli orti citati sono collocati all’interno dei centri d’accoglienza o nelle loro vicinanze. Il progetto dell’orto prevede anche nuove figure al lavoro nei centri d’accoglienza per esempio l’agronomo.
Un altro obiettivo raggiunto è stato il recupero di spazi urbani per creare “aree verdi” per i ragazzi e le comunità locali, in questo modo si rivalutano aree urbane, si creano spazi per scambiare saperi, si favorisce l’interazione tra persone.
L’utilizzo dell’orto nei centri di prima accoglienza si sta rivelando importante per rispettare le linee guida del piano nazionale per l’integrazione.
Lavorare la terra per ritrovare un “approccio” positivo davanti a ostacoli e malattie.
Nel convegno si è parlato anche di come lavorare la terra può aiutare a sostenere meglio le cure per i tumori. A spiegarlo è stata Patrizia Preti, una donna che ha vinto il tumore al seno. “Ci sono 665.000 nuovi casi di tumore oggi anno, ovvero il 5% della popolazione. Poter lavorare la terra in un luogo accogliente è stato per me fondamentale per sostenere la radioterapia, la chemioterapia e l’operazione.
L’orto rientra nello stile di vita sano, è una terapia complementare, è un supporto efficace per le situazioni di stress. Lavorare la terra è utile anche per i disabili per fare delle attività con gli altri e per gli altri. Fa avere un “approccio” positivo davanti a ostacoli e malattie, promuovendo uno stile di vita sana importante per combattere i tumori, aiuta anche a socializzare e scambiare le esperienze. Per guarire dal tumore ci vogliono tante energie e queste si trovano nel bello e nelle cose semplici”.
Marzia Castiglione
(7 giugno 2018)
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