Soccorso in mare: se si viola un principio della comunità umana

Presentato il 2 maggio il libro di Annalisa Camilli La legge del mare. Cronache dei soccorsi nel Mediterraneo

La legge del mare è semplice: strappare all’acqua chi sta affondando; è un dovere rispettato da millenni. Eppure oggi è stata messa in discussione: “taxi del mare”, “vicescafisti”, “la pacchia è finita”, “assalto dei clandestini” sono alcune delle formule linguistiche con cui si è diffuso un clima di sospetto e avversione verso chiunque pratichi la solidarietà e presti soccorso ai migranti che attraversano il mare per raggiungere l’Europa.

il soccorso di migranti in mare
il soccorso di migranti in mare – fonte: Amnesty International

Come siamo arrivati a criminalizzare la solidarietà e mettere in discussione un principio antico, sancito dal Diritto internazionale? La ricostruzione di questo percorso di disumanizzazione la troviamo nel libro di Annalisa Camilli, giornalista di Internazionale: La legge del mare. Cronache dei soccorsi nel Mediterraneo, edito da Rizzoli, un titolo semplice quanto quel principio, presentato lo scorso 2 maggio al Palazzo Merulana, insieme a Marino Sinibaldi, Direttore di Radio3 e Giovanni De Mauro, direttore di Internazionale.

Sinibaldi Camilli e De Mauro alla presentazione del libro La legge del mare
Sinibaldi, Camilli e De Mauro alla presentazione del libro a Palazzo Merulana

L’uso “blasfemo” di un linguaggio che non rispetta la sofferenza e non ricerca la verità dei fatti – ha detto Sinibaldi presentando il libro – è un sintomo dell’incapacità di gestire un fenomeno complesso come l’immigrazione e dell’insufficienza dei paradigmi con cui leggiamo il mondo, a cominciare da quelli usati dai media della comunicazione. Secondo la Camilli, i giornalisti italiani hanno una grande responsabilità nella scarsa conoscenza del fenomeno migratorio e nella diffusione del clima di deumanizzazione, perché hanno “un rapporto incestuoso” con i rappresentati politici: riportano tweet piuttosto che fatti. Un esempio significativo è l’hashtag “i porti sono chiusi”, riferito alla vicenda della nave Diciotti, riportato da tutti i giornali tralasciando il fatto che non esisteva, e non poteva esistere, alcun provvedimento ministeriale.

Per un giornalismo responsabile contro la deumanizzazione

Per anni la Camilli ha seguito le rotte dei migranti, sulle navi che li soccorrono e nei porti, parlando con loro, raccontando le loro storie, non fermandosi a descrivere “i segni che i confini lasciano sui loro corpi” o la loro sofferenza, ma riportando le loro aspirazioni, i progetti e i Paesi da cui provengono. “Più viaggiavo, visitavo posti e ascoltavo le voci dei protagonisti, più mi rendevo conto della distanza tra ciò che vedevo e ciò che veniva riportato”, scrive nell’introduzione al libro. Raccontare la complessità e la ricchezza delle storie dei migranti è, infatti, un modo non solo per conoscere persone e mondi, ma anche per rendersi conto della rimozione dei problemi e del razzismo nascosto nella rappresentazione polarizzata dei migranti come minaccia o come disperati. Ed è inoltre una verifica della falsità delle narrazioni urlate, diffuse da una propaganda senza scrupoli.

 

Luciana Scarcia
(8 maggio 2019)

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