“Lo spettacolo DesertoMare nasce come sintesi finale di un laboratorio di sei incontri di DanzaMovimentoTerapia che ho tenuto quest’anno ogni lunedì sera” Fernando Battista, coreografo Danzamovimentoterapeuta e insegnante in Dottorato di Ricerca in Teoria e Ricerca Educativa e Sociale presso il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università di Roma Tre, segna il percorso che lo ha portato alla realizzazione dello spettacolo, azione coreografica/teatrale, andato in scena per la prima volta a inizio estate.
La sfida: far incontrare ragazzi italiani e migranti attraverso la danza
Tutto è cominciato 5 anni fa dai fatti di Tor Sapienza, la protesta anti-immigrati, dalle sommosse e il dilagare di diffidenza e odio per le strade: “io abito lì vicino e mi sono chiesto come insegnante, ma prima ancora come cittadino, cosa potevo fare per far conoscere e incontrare questi ragazzi. Ero volontariato presso Laboratorio53. Parlare non aveva senso così accettai la sfida di agire attraverso la danza. Lavorare sul corpo per un ragazzo non è facile perché è lavorare su quella striscia di disagio comune, che io chiamo pedagogia del confine. Il corpo durante l’adolescenza cambia, muta, non sai più chi sei e hai bisogno di riconoscerti in un gruppo, questo ovviamente vale per ogni ragazzo indipendentemente dalla nazionalità.”Così nacque il progetto interculturale “Anime Migranti” con gli studenti dell’istituto tecnico per il turismo ‘Livia Bottardi’ in collaborazione con Laboratorio53.E questo è stato solo l’inizio.
DesertoMare e la pedagogia del confine
“Quel confine che non divide ma che se lo attraversi ti cambia, ti arricchisce” è l’anima della pedagogia del confine di Fernando Battista. Così con lo stesso spirito a inizio anno è partito un nuovo laboratorio basato su un percorso di inter-codice creativo, “ossia mettendo insieme diversi aspetti della danza, dal Teatro alla Contact, per creare un codice di lettura attraverso il corpo”.La proposta di partecipare con un contributo alla Manifestazione Inclusiva Stazione Oltremare che si sarebbe tenuta a fine giugno, diventa la spinta e una direzione con scadenza per pensare a un prodotto finale del corso. Da qui l’idea di DesertoMare: storie di dignità di 14 donne e un uomo.Lavorare con la DanzaTerapia e la DanzaTeatro significa integrare un linguaggio che diventa patrimonio condiviso, una relazione empatica che crea un incontro più profondo: insegna la possibilità di potersi esprimere liberamente, al di là di qualsiasi nazionalità o apparente diversità, e produce momenti di integrazione.“La danza appartiene a tutti, quindi tutti possono partecipare: ognuno poi mette in gioco quel che si sente e ha in quel momento. Ad esempio Ousmane, il ragazzo del Senegal protagonista nello spettacolo, quando la sera viene al corso sa che può essere se stesso, sta bene, e alla fine dell’incontro nel momento di restituzione dice sempre qualcosa che ci sorprende, rimette in asse, ci riporta all’essenziale”. Ousmane Demba studia in una scuola alberghiera e lavora instancabilmente in un negozio di stoffe indiane a Piazza Vittorio. La sera appena stacca scappa a Piazza Lodi dove si tengono le lezioni.In DesertoMare alla danza si aggiunge la componente vocale: “abbiamo usato testi autobiografici di donne che hanno frequentato Laboratorio53, ma non solo. Ci sono anche brani tratti da “Lettera a una professoressa” di don Milani e da “Se fosse tuo figlio” di Nicolò Govoni. Maddalena Grechi, che si occupa di teatro sociale, mi ha aiutato nel mettere insieme i testi”.Il titolo viene dalla parte finale del racconto della donna africana che dice “dopo il deserto il mare…” da qui DesertoMare.L’impatto dello spettacolo è stato forte sia sui danzatori, anche quelli che recitavano già da tempo, che sul pubblico: tutti si sono commossi. “Quando agisci sulla parte emotiva è già un feedback positivo”.
Il futuro
“A gennaio partirà un nuovo progetto di ricerca, figlio di “Anime Migranti”, che sarà parte della mia tesi di dottorato. Saranno coinvolte due scuole, il Liceo Kennedy di Trastevere e il Liceo Amaldi di Tor Bella Monaca, due licei scientifici di due aree diverse di Roma, centro e periferia, per poter poi mettere a confronto i risultati. Obiettivo della ricerca è verificare se effettivamente la DanzaMovimentoTerapia possa creare dei contesti inclusivi e interculturali”.
Silvia Costantini(10 settembre 2019)
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