Per una scuola inclusiva bisogna fare rete

L’intervento di Amalia Ghisani

L’obiettivo di una piena integrazione e inclusione scolastica degli alunni stranieri si raggiunge soltanto attraverso un’azione sinergica e un dialogo continuativo che sappia coinvolgere scuole, Enti Locali e terzo settore. Un primo passo in questa direzione è stato compiuto lunedì 28 ottobre nella Sala Consigliare del Municipio II, in cui si è svolto il seminario Per una scuola inclusiva, organizzato dall’associazione Piuculture e dal Municipio in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre. Una tavola rotonda che ha visto la partecipazione di numerosi dirigenti scolastici degli istituti del territorio, rappresentanti del Miur e del terzo settore.

Un modello virtuoso ma…

Pur vigendo nel nostro paese un modello scolastico inclusivo, fortemente ancorato ai principi dell’ottimismo pedagogico e della scuola democratica degli anni ‘70, numerose difficoltà di ordine pratico e burocratico si frappongono a limitarne la concreta attuazione. Il panorama dell’inclusione scolastica dei bambini stranieri nella scuola italiana, come sottolineato da Vinicio Ongini nel suo ultimo libro, contempla molte buone pratiche che tuttavia non riescono a elevarsi a sistema

La rete orizzontale

“Da qui la necessità di fare rete, che può declinarsi in molteplici versioni”, spiega Fiorella Farinelli dell’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’intercultura del Miur. A cominciare dalla “rete orizzontale”, ossia la necessità di una maggiore collaborazione tra gli istituti scolastici e gli Enti Locali, al fine di scongiurare fenomeni di ghettizzazione e polarizzazione degli alunni stranieri concentrati soltanto in alcune scuole dei territori. Il criterio dell’equi-eterogeneità nella formazione dei gruppi classe, più volte auspicato dal Miur, si configura come principio cardine nel processo di inclusione di alunni stranieri nella scuola italiana perché, aggiunge Farinelli, “evidenze scientifiche dimostrano che le scuole omogenee, in alto o in basso, funzionano peggio”.  

Photo credit: Noisiamofuturo.it

La rete verticale

Un’ulteriore declinazione dell’esigenza di fare rete va attuata in direzione verticale, allo scopo di coinvolgere nel terreno dell’inclusione scuole di ogni ordine e grado. La scuola dell’infanzia, per esempio, risulta scarsamente frequentata da alunni stranieri e finisce per scaricare l’onere della prima formazione e integrazione completamente sulla scuola primaria. Il “ritardo scolastico” degli alunni stranieri viene dunque a costituirsi già al momento dell’ingresso nel mondo degli studi, e peggiora man mano che si sale a livelli scolastici superiori, in cui più forte è il tasso di dispersione scolastica, favorito dal gran numero di bocciature e dalla mancanza di uno stabile supporto nell’apprendimento di una lingua per lo studio. Nessuna attenzione, inoltre, a livello ministeriale viene dedicata alla valorizzazione del plurilinguismo di fondo degli alunni stranieri.

Il ruolo del terzo settore e l’azione di Piuculture

Con la legge 107 del 2015 sono stati istituiti i primi laboratori linguistici per alunni stranieri, realizzati attraverso il supporto di Enti Locali e associazioni del terzo settore, al fine di potenziare l’apprendimento dell’italiano come lingua per la scuola. A tal proposito Amalia Ghisani, presidente di Piuculture, auspica un maggiore dialogo tra volontari che operano nelle scuole come supporto linguistico per alunni stranieri e il corpo docente, perché l’azione delle associazioni del terzo settore in questo campo ha senso soltanto se inquadrata in un’ottica di sussidiarietà, ovvero se anche il progetto educativo in capo agli insegnanti procede nella stessa direzione. L’azione dei volontari, in altre parole, deve essere un “tassello” all’interno di un progetto più ampio che miri a “scongiurare l’inclusione lavorativa e sociale al ribasso”.

Il ruolo delle famiglie

L’assessore alle Politiche sociali del II Municipio Carla Fermariello, nella convinzione che sia fondamentale “educare tutti alla convivenza”, auspica un maggior coinvolgimento dei genitori su questa tematica, siano essi italiani poco favorevoli alle classi miste, o stranieri che trovano nel percorso scolastico dei figli un’occasione per affacciarsi a loro volta alla cultura italiana. Perché gli alunni stranieri sono spesso i “mediatori culturali dei genitori”.

Silvia Proietti
(30 ottobre 2019)

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