“C’è un albero in un campo al tramonto e quello che vedi sono solo le ombre. Ma se tu la guardi dall’altro lato vedi i fiori, un albero fatto allo stesso modo, ma puoi vederne i colori”. Murat Yazar, fotografo curdo, nato in Turchia, descrive con un’immagine metaforica il Kurdistan e la condizione del popolo curdo.
“Per me è questo”, riassume.”Noi guardiamo sempre questo albero controluce, noi stessi non vediamo e non possiamo mostrare la nostra reale cultura, i nostri colori”, che hanno origine con la Mesopotamia, sottolinea con fierezza.
“Sono tanti i colori ma i poteri che ci hanno sempre assoggettato, come la Turchia oggi, li hanno assimilati, annientati, e a furia di eliminarli sono stati dimenticati: non sappiamo più com’è vivere in quella cultura, in quei colori. Anche adesso”.
Fotografie dal Kurdistan: la guerra contro i curdi spegne i colori
Il 9 ottobre è cominciata l’offensiva turca sul confine con la Siria. Appena gli americani hanno ritirato le truppe, il presidente turco Erdogan ha iniziato i bombardamenti nei territori controllati dai curdi, sottraendogli in pochi giorni oltre 120 km di territorio, in uno spazio che ospita città come Tal Abyad e Ras al Ain.Murat Yazar fa da Cicerone al confine tra la Turchia e la Siria ai giornalisti della stampa internazionale che raccontano il conflitto.
“Una settimana fa c’era un matrimonio in Turchia e stavano usando i colori curdi: rosso, giallo, verde e la polizia li ha portati in commissariato. Li stavano usando durante un matrimonio”.
È appena tornato a Roma dopo un periodo di lavoro fianco a fianco con gli inviati della BBC: le immagini della repressione e delle esplosioni sulle città sono fresche nella memoria.
Le ombre sulla terra che appartiene a quattro paesi diversi, Turchia, Siria, Iran, Iraq, durano da oltre 100 anni: “È una continua guerra civile, le persone non si sentono mai sicure, sono sempre terrorizzate, vanno in galera, muoiono”.
Quello che sta accadendo al confine tra la Turchia e la Siria è un paradigma che si ripete. E con un’altra immagine, più cruda e reale, Murat descrive la situazione attuale, l’ennesimo capitolo di una storia di abbandoni e di invasioni: “Piovono bombe come se fosse pioggia. Immagina di vedere difronte a te una vita: c’è un giardino, ci sono animali che vivono lì, piante che vivono lì e loro lo distruggono. Stanno uccidendo la vita. Ma nessuno può dire nulla. Io ero lì ma non ho potuto dire niente perché sarei stato arrestato”.
Essere “lì” vuol dire essere a pochi metri dalla regione del Rojava, Murat mostra un video: una schiera di palazzi che fumano di bombe, così vicini al confine i curdi sparano “ma poco perché rischiano di uccidere altri curdi. Mentre i turchi bombardano, molti civili sono morti”.
Si distrugge per due ragioni: “La Turchia non accetta una maggioranza o un’autonomia curda intorno a sé. Anche all’interno dei confini sta contrastando il Pkk, a cui il sistema del Rojava è strettamente connesso. Seconda cosa loro vogliono costruire un impero, espandersi, e in quell’area vogliono mettere degli arabi e controllare il territorio”. Come hanno fatto ad Efrin, città sottratta consegnata ai ribelli siriani che sostengono il paese.
Turchi e curdi: una guerra senza soluzione
È una situazione senza speranza, secondo Murat. “Due o tre anni fa non avrei detto la stessa cosa. Ma oggi penso non ci sia una soluzione perché a loro non interessa quando le persone muoiono, quando le città vengono distrutte, e anche quando i soldati turchi muoiono vengono strumentalizzati per la propaganda.
Io non ho alcuna speranza che questo si fermi. Il fascismo ha raggiunto livelli troppo alti”.Tra i due fronti non c’è possibilità di dialogo: “anche noi curdi oggi odiamo queste persone perché loro ci hanno distrutto, non vogliono ascoltarci, capirci, vogliono seguire solo i loro scopi fascisti, non parlo di tutti io ho anche degli amici turchi. Ma come possiamo fare la pace in questo modo?”
E in questa situazione senza via d’uscita Murat, scusandosi per la franchezza, sottolinea il ruolo troppo debole dell’Europa nel contrasto a Erdogan. “Credo che l’Europa non comprenda davvero quello che i curdi vogliono fare, il confederalismo democratico, un nuovo sistema politico. Noi curdi non possiamo costruire quello che vogliano perché c’è la guerra ma questo è quello che vogliamo: ecologia, femminismo, cultura. Non c’è solo un modo.
È molto importante sottolinearlo perché l’Europa e gli Stati Uniti si concentrano sulla questione dell’identità curda, ma per me ad esempio e per molti dei miei amici è importante avere un’autonomia culturale, di arte, di scienza, per costruire questo nuovo sistema, questo è importante, non mi interessa di mettere una bandiera del Kurdistan o qualsiasi altra bandiera”. Nella terra a cavallo tra quattro stati la distruzione è più forte di qualsiasi volontà. Murat ripete spesso che ha perso la speranza ma, almeno con la sua fotografia, non smette di costruire.
Con i suoi scatti del progetto “Shadow of Kurdistan” ha intenzione di unire in un unico libro il Kurdistan senza confini fissando in un’immagine la vita quotidiana, la strada, i conflitti dell’Iran, dell’Iraq, della Turchia e della Siria, dove i curdi sono stati e continuano ad essere ammazzati. Lo ripete quattro volte, una per ogni stato in cui è accaduto, e continua ad accadere. C’è la campagna, c’è la città, ci sono le proteste, c’è la guerra, ci sono i matrimoni: nelle fotografie di Murat c’è il Kurdistan. Ma anche nei suoi scatti mancano i colori.
Rosy D’Elia
Fotografie di Murat Yazar
(13 novembre 2019)
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