Il Porrajmos dimenticato dalla Giornata della Memoria

Sono passati  20 anni da quel 20 luglio del 2000, quando fu istituita per legge la giornata della memoria per ricordare la shoah, lo sterminio del popolo ebraico il 27 gennaio, giorno della liberazione da parte delle truppe sovietiche dei sopravvissuti del lager  di Auschwitz.  Ma in tutti questi anni non è emerso il bisogno di aggiungere alla ricorrenza il termine parallelo “porrajmos”, parola sconosciuta ai più che sta a significare nella lingua rom, grande divoramento e cioè lo sterminio di rom, sinti e caminanti avvenuto nello stesso lager nazista.

La targa che ricorda in Piazza degli Zingari il genocidio nazifascista dei Rom, Sinti e Camminanti
Le stime ufficiali parlano di circa  500.000 vittime,  ma siccome nella tradizione “itinerante” delle famiglie rom, molto spesso i bambini non venivamo registrati all’anagrafe, il numero reale sarebbe vicino al milione e mezzo di persone. Anche se non c’è modo di accertarlo. Non ci sono molti sopravvissuti di quell’epoca per le condizioni di vita comunque precarie anche dopo la fine della guerra, e quelli che restano sono restii a ricordare questa pagina del loro passato. Tra le cause di questa “rimozione” collettiva  c’è da considerare il pregiudizio che da sempre colpisce gli “zingari” bollati dall’opinione comune – scrive Luca Bravi autore di numerose pubblicazioni relative alla storia dei rom e dei sinti in Europa – come ladri, asociali e nomadi, perciò geneticamente, ma oggi si dice “culturalmente”, pericolosi. Questi stereotipi di stampo razziale  si sono conservati con una linearità  agghiacciante dall’immediato dopoguerra  fino ad oggi.  Finchè non si attiverà una reale inclusione a livello sociale – conclude il professore – non ci potrà essere testimonianza storica”.
Un momento della celebrazione nel corso della passeggiata urbana dal Ghetto a Piazza degli Zingari
A provarci a ricordare l’eccidio dei rom, invitando il Comune di Roma a partecipare e ricevendo un rifiuto per la seconda volta, è stata l’Associazione 21 luglio con il suo presidente, Carlo Stasolla che ha guidato, domenica 2 febbraio,  una “passeggiata urbana nel cuore di Roma” per unire attraverso un percorso di circa un chilometro, in linea d’aria, i luoghi simbolo delle due persecuzioni: largo 16 ottobre 1943 dove si trova la targa che ricorda il “sabato nero” del ghetto di Roma, quando ci fu il rastrellamento da parte della Gestapo di 1259 ebrei e Piazza degli Zingari che ha preso il nome dalle carovane di zingari che qui sostavano, dove un’altra targa posta dal Comune di Roma nel 2001, ricorda lo sterminio del popolo rom.
I bambini rom, sgombrati dal campo dove vivevano, oggi sono tornati a scuola “monitorati” dall’Associazione 21 luglio
Col sottofondo del violino dell’artista rom Gennaro Spinelli che ha eseguito alcuni pezzi di musica ebraica, in segno di fratellanza con le vittime dell’olocausto, durante la celebrazione sono stati ricordati i quattro periodi che segnano la storia del Porrajmos.

Respingimento, Pulizia etnica, Rallestramento, Soluzione finale 

Il primo, inaugurato con la circolare del ministero degli Interni del 19 febbraio 1926, che dispose il respingimento delle carovane entrate nel territorio “anche se munite di regolare passaporto” e l’espulsione di quelle soggiornanti di origine straniera. Alcuni comuni italiani, in seguito a questa circolare, decisero di non registrare la nascita di bambini rom avvenuta sul proprio territorio.Il secondo periodo tra il 1938 e il 1942 da avvio alla  pulizia etnica organizzata presso le frontiere: famiglie rom istriane vengono portate al confino in Sardegna, soprattutto nelle province di Nuoro e Sassari. Successivamente la misura si estende anche agli “zingari” intercettati nel Trentino Alto Adige. Nel 1942 parte da Lubiana un convoglio di rom alla volta del campo di concentramento di Tossicia, nel teramano. Qualche mese dopo viene inaugurato un altro campo di concentramento, quello di Gonars, dove vengono racchiuse famiglie rom istriane.

Una foto d’epoca che ritrae un bambino rom “schedato” dopo essere stato recluso nel campo di concentramento
Il terzo periodo è quello del rastrellamento. Un ordine emanato l’11 settembre 1940 dal capo della Polizia nazionale  ordina per i rom di nazionalità italiana “certa o presunta”, il rastrellamento “nel più breve tempo possibile” e il concentramento “sotto rigorosa vigilanza in località meglio adatte in ciascuna provincia”. Chi può scappa sulle montagne. La maggioranza viene rinchiusa in campi riservati agli “zingari“: Agnone (Isernia), Boiano (Campobasso), Tossicia (Teramo), Gonars (Udine), Prignano sulla Secchia (Modena), Berra (Ferrara).Il quarto periodo è quello della “soluzione finale” che sta a significare la deportazione  verso i campi di sterminio. Il 16 dicembre 1942 Himmler firma l’ordine di internare gli zingari ad Auschwitz, insieme alle prostitute. Tutti avrebbero avuto sul petto un triangolo nero e una Z cucita sul vestito. Tra le poche testimonianze “oculari” quella della senatrice Liliana Segre riportata dall’agenzia Ansa due anni fa, all’inaugurazione di un monumento alla memoria dello sterminio dei rom avvenuto in provincia di Chieti: “Ad Auschwitz il nostro campo confinava con quello degli zingari, che sembravano continuare a vivere la loro vita, le famiglie vivevano unite nelle loro baracche, senza divise, in famiglia.  inizialmente la loro condizione aveva suscitato la nostra invidia. Poi una mattina non c’era più nessuno. E una prigioniera disse: ‘Li hanno bruciati tutti’.
I binari del treno che arrivava direttamente nel lager nazista
E se la soluzione finale, tragica e da non dimenticare, fa parte ormai del passato, purtroppo le condizioni abituali di vita dei rom, nel frattempo, non sono molto migliorate, soprattutto nel comune di Roma che aveva assicurato il superamento dei campi con il “Piano rom di Roma Capitale ” presentato dalla sindaca Virginia Raggi il 31 maggio del 2017.
Un campo rom
“Un piano mai condiviso con la cittadinanza e caratterizzato dal rifiuto a qualsiasi supporto esterno – compresa l’adesione a programmi europei” è la conclusione dell’associazione 21 luglio  nel report  “Dove restano le briciole.  I propositi del Piano rom e ciò che rimane negli insediamenti della Capitale”che fa un un primo bilancio sull’operato dell’Amministrazione Comunale.  “A fronte di 104 sgomberi forzati registrati dal giorno della presentazione del Piano con un impegno di spesa stimato in 3.300.000 euro – documenta il  rapporto – si è verificato  il “travaso” di circa 800 persone dagli insediamenti formali a quelli informali che nella Capitale sono saliti a più di 300; drammatici  i numeri sul fronte scolastico dove negli ultimi 3 anni si è assistito a un decremento dei minori rom iscritti del 56%.Di fronte a questa situazione – ammonisce il rapporto – rappresenta un allarme la volontà annunciata dall’Amministrazione Comunale di realizzare “nuovi centri di raccolta per soli rom” riproponendo soluzioni abitative già sperimentate nel passato con evidenti fallimenti”.

Francesca Cusumano

5 febbraio 2020

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