Coronavirus e caporalato: la proposta di Marco Omizzolo

Foto di Google

L’emergenza coronavirus ci ha costretti in casa, ma nelle campagne si continua a lavorare. Il comparto agroalimentare è il settore produttivo con la maggior percentuale di manodopera straniera, il 25%. Secondo l’Osservatorio Placido Rizzotto di Flai CGIL sono circa 450000 i lavoratori stranieri attualmente sfruttati in agricoltura, 130000 dei quali costretti a lavorare in condizioni definite paraschiavistiche. A questa situazione già complessa si è andata sommando la pandemia di queste ultime settimane.Come sta influendo l’emergenza COVID-19 sulle condizioni delle migliaia di braccianti stranieri ancora a lavoro nelle campagne italiane? Marco Omizzolo, sociologo Eurispes di recente in libreria con il saggio Sotto padrone. Uomini, donne e caporali nell’agromafia italiana, ne ha parlato nel corso della conferenza “Lo sfruttamento in agricoltura ai tempi del covid-19”, organizzata da Libera Roma e trasmessa il 1° aprile in diretta Facebook.

L’appello di Marco Omizzolo

La denuncia della condizione dei braccianti stranieri in Italia, alcuni dei quali confinati in veri e propri ghetti in molte zone della Calabria e della Puglia, è stata in questi giorni sollevata all’attenzione dell’opinione pubblica. Marco Omizzolo, con il supporto della Fondazione Feltrinelli, ha lanciato una riflessione sul tema, intitolata Tre proposte per un’Italia più giusta, contro ogni virus. In questa fase più che mai è opportuno procedere alla regolarizzazione dei lavoratori stranieri impiegati nei vari settori dell’economia italiana, sulla scia di quanto messo in atto dal governo portoghese. Ma tale proposta rischia di essere depotenziata se non accompagnata dalla cancellazione della L.132/2018 meglio nota come Decreto Salvini, il cui impatto nei confronti della popolazione migrante è al centro del rapporto I sommersi dell’accoglienza redatto da Amnesty International Italia, e da una riforma del diritto di cittadinanza in direzione maggiormente inclusiva. “Perché c’è un nesso evidente tra sfruttamento lavorativo ed emarginazione sociale, che in questo caso ha assunto anche il volto di emarginazione di Stato. Ma è evidente anche che più siamo a godere dei diritti e più è difficile, per il padrone o il leader di turno, cancellarli. Difendere i diritti degli altri significa difendere i diritti di tutti”.La proposta di Omizzolo riprende e ampia l’appello lanciato qualche giorno fa alle istituzioni da Flai CGIL,Terra! e altre associazioni, incentrato sulla necessità di regolarizzare i lavoratori stranieri delle campagne, facendo ricorso ai fondi del Piano triennale contro lo sfruttamento e il caporalato.

Parlare alle comunità

Marco Omizzolo vive in un territorio noto per essere una delle roccaforti del caporalato in Italia: l’agro pontino. La sua attività di sociologo, unita all’impegno sul campo culminato nell’organizzazione di due grandi scioperi contro il caporalato – aprile del 2016 e ottobre 2019 – lo hanno reso un punto di riferimento della comunità indiana locale, che conta circa 30000 membri di cui il 70% impiegato in agricoltura. È proprio da questa posizione che ha potuto osservare l’impatto dell’emergenza coronavirus su una delle comunità straniere più sottoposte allo sfruttamento lavorativo nelle campagne. “A livello di comunicazione istituzionale lo Stato ha dimostrato di voler tutelare solo i già tutelati. Le direttive sono state emanate soltanto in lingua italiana, per di più utilizzando un linguaggio difficile da capire. Negando agli stranieri il diritto all’informazione sanitaria, però, si mette a repentaglio la salute di tutti. Sembra che lo Stato faccia di tutto per negare la consistenza e l’importanza della presenza straniera in Italia: lo testimonia anche l’inesistenza a livello istituzionale della figura del mediatore culturale. Insieme ai rappresentati delle comunità indiane locali abbiamo tradotto in lingua hindi e punjabi i testi delle direttive. Abbiamo, inoltre, diffuso dei video tutorial che mostrano i comportamenti da adottare per evitare la diffusione del contagio. Alcuni braccianti, a loro volta, mi hanno inviato un video (in basso) in cui si filmano mentre raccolgono i prodotti dai campi, ognuno a distanza di sicurezza dal collega vicino.”

I costi della crisi scaricati sui braccianti

La diffusione dell’epidemia ha peggiorato la situazione nelle campagne: i caporali e i proprietari terrieri della zona, approfittando della riduzione dei controlli in tempi di emergenza epidemiologica, possono agire ancora più indisturbati. “Pochi giorni fa tre italiani sono stati denunciati dalla polizia perché scoperti a trasportare venti bangladesi da impiegare nei campi, in aperta violazione delle misure di sicurezza. Non per caporalato. Nelle campagne, soprattutto nei terreni lontani da strade e meno esposti visivamente, le misure di sicurezza non vengono affatto garantite ai braccianti, spesso invitati dagli stessi caporali ad acquistare autonomamente mascherine e guanti. Le ricadute economiche del coronavirus sull’economia non tarderanno a farsi sentire anche nel comparto agricolo: le aziende controllate da padroni e caporali, in assenza di vigilanza, non esiteranno a scaricare le perdite sui lavoratori, sostituendo quelli regolari con gli irregolari, perché sottoposti a meno tutele e maggiormente ricattabili. È prevedibile, come già denunciato anche dal Ministro dell’Interno, che i clan mafiosi tenteranno in ogni modo di approfittare della situazione per immettersi ancor più capillarmente nel mercato agricolo, rilevando per esempio aziende finite in crisi dopo l’emergenza e aggravando ancor di più lo sfruttamento dei braccianti”.

Silvia Proietti
(3 aprile 2020)

Leggi anche:

займ на карту онлайн круглосуточно rusbankinfo.ru