Operazione Irini, le perplessità sulla nuova missione UE

Al via, dal 1 Aprile, la nuova operazione militare dell’UE denominata EUNAVFOR MED IRINI per prevenire il traffico di armi nei confronti della Libia e portare ad attuazione l’embargo sulle armi imposto dall’ONU. Come si legge nel documento del Consiglio dell’Unione Europea, la missione contribuisce anche a contrastare l’esportazione illecita di petrolio dalla Libia e presta assistenza nella formazione della guardia costiera e della marina libiche. Come ulteriore compito “sostiene l’individuazione e il controllo delle reti di traffico e tratta di esseri umani attraverso la raccolta di informazioni e il pattugliamento in alto mare effettuato con mezzi aerei”.

Una missione militare chiamata “pace”

L’operazione Irini, dal nome della dea greca della pace Eiréne, sostituisce la precedente missione Sophia e ha un mandato iniziale di un anno. Sarà necessario l’obbligo di una “riconferma” ogni 4 mesi da parte del CPS, il comitato politico e di sicurezza. Esso potrà prorogare la missione “a meno che lo schieramento dei mezzi marittimi dell’operazione non produca sulla migrazione un effetto di attrazione”. Per il periodo fino al 31 marzo 2021 l’importo di riferimento per i costi comuni di EUNAVFOR MED IRINI è di 9.837.800 EUR. La Danimarca, non partecipando alle azioni dell’Unione Europea che hanno implicazioni nel settore della difesa, non prende parte alla missione né al suo finanziamento. La sede dell’operazione è a Roma e ha come comandante il Contrammiraglio Fabio Agostini.

Depotenziato il contrasto al traffico di esseri umani

Il Servizio studi del Senato Italiano, in una nota sugli atti dell’Unione europea a cura di Federico Petrangeli, ha evidenziato alcune “incognite” riguardo la nuova missione dell’UE. Secondo la nota, rispetto alla precedente operazione Sophia, il contrasto al traffico di esseri umani è posto in secondo piano. Irini potrà infatti utilizzare, oltre a mezzi aerei e satellitari, anche le imbarcazioni, ma queste dovrebbero essere dispiegate al largo della costa della Cirenaica. Questo “spostamento dell’area di intervento porterà le navi in zone molto decentrate rispetto alle rotte dei trafficanti di esseri umani e si dovrebbe quindi ridurre fortemente, rispetto a Sophia, la componente di search and rescue della nuova operazione”.

La Grecia e lo sbarco dei migranti

La nota fa presente come, per consentire l’avvio di Irini, sia stato necessario stabilire delle regole per lo sbarco di migranti. “Lo stallo è stato superato grazie alla disponibilità della Grecia, che in linea di massima ha accettato di mettere a disposizione i propri porti”. Le persone salvate in mare dovrebbero essere ricollocate, dopo lo sbarco, su base volontaria tra gli altri Paesi che prendono parte alla missione.

Il “pull factor”

Il documento esprime dubbi anche sulla clausola del “pull factor” (fattore di attrazione), la quale prevede di ritirare gli assetti navali in caso di aumento dei flussi migratori e che, per questo, potrebbe fornire ai trafficanti la possibilità di interrompere prematuramente le attività dell’operazione Irini.

La gestione delle spese

C’è poi la questione della disponibilità di porti dove fare attraccare le navi da porre sotto sequestro. Secondo quanto riportato nella nota, “accogliere la nave in un proprio porto significa, per lo Stato, dover avviare le necessarie attività di polizia e dell’autorità giudiziaria nei confronti dell’imbarcazione e, soprattutto, dell’equipaggio”. A questo si aggiungerebbe “per lo Stato di attracco, anche la necessità di coprire le spese per le operazioni relative alla nave e al suo contenuto, cioè lo scarico del materiale sequestrato, lo stoccaggio, lo smaltimento ecc”.

L’opposizione dell’Ungheria e l’indisponibilità dell’Italia

Le spese per il sequestro delle navi e per le attività conseguenti sono poste a carico del bilancio Ue. Inizialmente era stato previsto che tra i costi comuni sarebbero rientrati anche quelli relativi alla “gestione” delle persone salvate in mare. Dopo l’opposizione dell’Ungheria, si è giunti alla conclusione che tra i costi comuni rientreranno solo le “spese di sbarco”. Tuttavia, “al Paese di sbarco sono garantite le risorse finanziarie ed operative degli strumenti ed istituzioni esistenti (da Frontex al Fondo asilo, migrazioni e integrazione)”. Il documento fa anche presente che l’Italia, a causa dell’emergenza Covid-19, ha notificato la sua indisponibilità ad accogliere migranti per i prossimi quattro mesi.

Il comunicato di Mediterranea Saving Humans

Secondo un recente comunicato emesso dalla ONG Mediterranea Saving Humans, l’operazione Irini “è stata pensata per evitare accuratamente il ritorno di assetti navali dell’Ue nel Mediterraneo, dove avrebbero potuto trovarsi nella condizione di dovere salvare vite umane, come ha già denunciato il Danish Refugee Council”.

Un mare senza soccorsi

“Che lo stato dei diritti umani delle persone, incluso quello più elementare alla vita, non sia mai non solo una priorità, ma neppure oggetto di mera valutazione, è qualcosa che fa inorridire” – si legge nel comunicato. “Sarebbe questo il momento, invece, di rimettere in mare assetti governativi con la missione di salvare chi fugge dalla guerra libica e annega ogni giorno, oppure viene riportato indietro dalle milizie libiche a subire ancora trattamenti inumani e degradanti. Assetti che sarebbero adeguati, peraltro, a fare fronte anche alle nuove necessità che l’attuale situazione impone per difendere la sicurezza sanitaria, ma senza che questo significhi la condanna a morte o l’abbandono di chi è costretto ad attraversare un Mediterraneo rimasto quasi del tutto senza soccorsi”.

Un crimine contro l’umanità

Per l’ONG Mediterranea “il Consiglio ha approfittato di questa occasione per destinare ancora un po’ di soldi dei contribuenti europei alla perpetrazione di quello che la Storia racconterà come un crimine contro l’umanità, ovvero la formazione e il sostegno della cosiddetta guardia costiera libica nelle attività di cattura dei profughi che dalla Libia scappano per sottrarsi alle torture dei centri di detenzione (anch’essi finanziati in gran parte coi nostri soldi) e alle violenze della guerra civile”.

Vincenzo Lombardo(8 aprile 2020)

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