L’alfabeto delle parole che ci mancano: “v” di vulnerabilità

Il silenzio che offende – L’alfabeto delle parole che ci mancano è un progetto della redazione di Piuculture nato dalla considerazione di quanto le parole siano importanti, esprimano e formino il pensiero, rivelino e modellino comportamenti. Dobbiamo essere preoccupati di quel linguaggio fatto di povertà di pensiero, carico di violenza e stereotipi, che domina il dibattito pubblico sull’immigrazione e non solo.Da qui è partita l’idea di ricercare parole il cui uso possa costituire una barriera al dilagare di quel linguaggio. Ricerca che ha portato alla costruzione collettiva di un Alfabeto ragionato delle parole che circolano poco nella narrazione delle migrazioni. L’ambizione è di contribuire a una campagna culturale in cui coinvolgere scuole, associazioni, testate giornalistiche.


Nessun uomo è invulnerabile: tutti condividiamo la debolezza, solo che spesso non la riconosciamo o la cancelliamo. Esiste però un luogo dove la vulnerabilità è reale, visibile e può diventare salvezza: il corridoio umanitario, quello spazio in cui la realtà viene sospesa e i confini cancellati in nome, appunto, della vulnerabilità, presupposto di un modello alternativo alla chiusura mentale e fisica di Paesi e persone.

Fotografia di Iuliana Dinca
Fotografia di Iuliana Dinca

I valori umani rendono sostenibile la vulnerabilità

Dame Tall, 42 anni, viene dal Senegal e da 20 anni vive in Italia. Il forte desiderio di aiutare economicamente la famiglia è stata una spinta costante che l’ha aiutato ad affrontare  il viaggio e il difficile impatto con la realtà italiana. Oggi Dame lavora a Roma come commesso in un negozio di alta moda. In Senegal  ha creato una piccola società commerciale che viene gestita dai fratelli. Dame è felicemente sposato ed è padre di tre figli, due maschi e una ragazza di  dieci anni. Come interpreti la parola vulnerabilità?La vulnerabilità per me ha tanti significati: ti senti vulnerabile quando ti trovi in una situazione di difficoltà o di debolezza di confusione o di incertezza. Le persone attraversano esperienze difficili nella vita dovute a una debolezza fisica, economica o esistenziale. Possono sentirsi confuse quando sono costrette a prendere delle decisioni. Tanti senegalesi che vivono in Italia hanno grosse difficoltà con la lingua ed è per questo che non riescono ad inserirsi e a trovare lavoro. Quando arrivano dal Senegal sono persone molto tranquille, educate, brave persone. Ma a volte le difficoltà che incontrano li portano a prendere strade sbagliate, perdendo i valori che si portavano al loro arrivo qui in Italia. Rompere i contatti con la famiglia o con il tuo paese è come tagliare le proprie radici, questo secondo me rende molto vulnerabili.Quando sei arrivato in Italia ti sei sentito vulnerabile?In Italia ho trovato una situazione diversa rispetto a quello che pensavo: il freddo, la difficoltà di comunicare, le difficoltà culturali insomma è stato difficile. Mi mancava la famiglia e così ho pensato che Dame che era partito dal Senegal non poteva sopravvivere in Italia. Per farlo occorreva inventare un altro Dame. Ho dovuto affrontare tante difficoltà per adeguarmi alla vita che avevo deciso di vivere. Nel primo periodo sono stato ospite da amici del mio paese. Questo mi ha permesso di lavorare. Facevo due lavori: di giorno vendevo oggetti girando per la città e la sera andavo in un ristorante per lavare i piatti fino a tardi. Ho imparato la lingua e dopo due anni e mezzo ho preso il permesso di soggiorno. Hai un ricordo particolare che puoi associare alla parola vulnerabilità?Mio padre è andato via quando io e i miei sei fratelli eravamo piccoli. Mia madre, rimasta sola soffriva e non sapeva come andare avanti. I bisogni erano tanti, e purtroppo non c’era la possibilità di andare a scuola. Per la prima volta mi sono sentito vulnerabile ed è così che ho cominciato a lavorare per aiutare mia madre. Mi ricordo poi, una volta che ero in Senegal e dovevo rientrare in Italia. Mia moglie incinta è stata ricoverata d’urgenza in ospedale perché stava perdendo la bambina. Sono rimasto con lei in ospedale per settimane. Mi rendevo conto che i soldi che avevo non servivano per salvare la vita della mia bambina. Non avevo mai pianto in vita mia, ma in quella situazione piangevo continuamente senza vergogna davanti a mia moglie e ai medici. Trovarmi nell’impossibilità di aiutare la mia famiglia o persone che hanno dei problemi nella vita, problemi di salute o difficoltà economiche, mi fa sentire vulnerabile. Credi che il cambiamento porti ad uno stato di vulnerabilità?Il cambiamento può farti sentire vulnerabile, cambiare il paese, il continente sono eventi importanti. Vivere in un posto fino a 20 anni, dover lasciare tutto, gli amici, la famiglia, cambiare per un altro paese con clima diverso, lingua abitudini e usanze diverse è un grande cambiamento. Sapere quello che lasci, non sapere quello che trovi ti crea un grande senso di vulnerabilità, poiché sai che hai la responsabilità di sostenere te e la tua famiglia.  È molto impegnativo superare le differenze culturali.  Faccio un esempio: quello che caratterizza i senegalesi è l’ospitalità e la condivisione. Nel mio paese se tu hai fame e suoni alla porta  d’una casa sei invitato a mangiare insieme alla famiglia, senza sentirti in dovere di ricambiare. Condividere quello che hai con altre persone, aiutare senza che qualcuno lo sappia fa parte dei valori della mia cultura. Relazionarsi con persone di culture diverse allontana fa diminuire la vulnerabilità?Quando nasci in un posto hai in dote i valori della tua cultura e delle tue tradizioni. Andare via è come lasciare una parte di te che non potrai mai recuperare. Al limite puoi trasformarla prendendo il bello della nuova cultura. Ci vuole tanta pazienza ed intelligenza e alla fine, con tutte le difficoltà iniziali, ti arricchisci e la tua vita diventa migliore, una fonte di conoscenza per te e per gli altri. Torni nel tuo paese con una nuova mentalità e con nuove conoscenze. Diventi testimone di quello che la gente può aver solo sentito e visto in televisione. Puoi contribuire alla nascita di un sogno o di una speranza o di un desiderio di conoscenza e di crescita. La tua esperienza, se condivisa, diventa un dono per gli altri. L’Italia per me è stata una scuola di vita, ho imparato un lavoro, a distinguere il bene dal male. I soldi che guadagno attraverso il mio lavoro mi ha permesso  di aiutare  diverse persone e di alimentare molte speranze. Ora posso parlare con  persone di culture e religioni diverse perché ho imparato a rispettare la loro diversità senza perdere di vista i miei valori e la mia vita. Credi che la sofferenza ci possa rendere vulnerabili?Prima del lockdown mia moglie è venuta a trovarmi ed è rimasta bloccata in Italia per la chiusura degli aeroporti. Abbiamo sofferto molto perché non è potuta ritornare dai nostri figli e di nuovo mi sono trovato in una situazione in cui non potevo fare niente. Il 4 aprile mi è arrivata la notizia della morte di mia madre, essendo un musulmano non posso dire che sia stata una brutta notizia perché questo è stato il desiderio del Signore. Mi sono  trovato di nuovo in una posizione di impotenza: non potevo partire per il funerale di mia madre. Mi sono sentito vulnerabile e sono stato male per venti giorni, chiuso dentro casa. Il mio dolore è cessato quando ho saputo che, nel suo ultimo viaggio, è stata accompagnata da tanta gente del paese,  persone che ha aiutato nella sua vita senza chiedere mai nulla. Mia madre era un punto di riferimento per me, ha lottato molto  per crescere i suoi figli e devo a lei la mia grande determinazione. Da lei ho imparato anche che  non si può avere tutto nella vita,  bisogna andare avanti ed essere contenti di quello che si ha.


 

La vulnerabilità fra l’espressione di fragilità e fonte inesauribile di determinazione

Fabiana Musicco, specializzata nello studio dei flussi migratori e dellemigrazioni forzate comincia la sua carriera nel mondo dell’editoria giuridicasubito dopo la Laurea in Giurisprudenza.Durante la sua esperienza decennale di lavoro editoriale inizia a maturareun forte interesse per la trasformazione multietnica della società italiana e nel2009 Fabiana decide di lasciare la casa editrice per un lavoro in un Istituto diRicerca Sociale. I suoi studi sulle questioni migratorie, le politiche diaccoglienza e integrazione la portano a essere tra le fondatrici di RefugeesWelcome Italia che nasce nel 2014.Un progetto fortemente voluto nella vita di Fabiana è quello di diventare mamma. E così, 12 anni fa, decide di adottare una splendida bambina dalla Cambogia dell’età di 1 anno.“Essere mamma è una gioia, grazie alla mia malattia oggi sono una felicemamma adottiva”Ti sei mai sentita vulnerabile nella tua vita?È stata una grave malattia in età abbastanza giovane a portarmi a fare i conti per la prima volta con il concetto di limite. Questo periodo di vulnerabilità si è tradotto in una grande forza che mi ha permesso di fare delle scelte importanti e ridisegnare le priorità della vita sia alivello personale che professionale. Ho capito che dovevo assecondare le mie passioni, fare quello per cui sono nata, e ho lasciato dopo 20 anni un lavoro dipendente a favore di un impiego meno redditizio e meno “sicuro”. Per la prima volta mi sono confrontata con l’incertezza e la precarietà e di conseguenza con uno stato di vulnerabilità. La vulnerabilità l’ho percepita fortemente di nuovo intorno ai 50 anni quando ho sentito un cambiamento anche nella mia energia. Faccio un lavoro molto sfidante per il quale ogni giornata devo dare il massimo, ed è un lavoro di grandissima concentrazione. Ilcambiamento di energia e altri problemi di salute mi hanno impedito di dare il massimo rispetto al mio appassionante lavoro e a una vita sociale molto ricca.La vulnerabilità entra in maniera differente nella vita di una donna e di un uomo e può essere legata anche a fattori esteriori come ad esempio il modo di vestire?Ogni donna secondo me ha il diritto di abbigliarsi come crede e di giocare con la propria immagine. È profondamente sbagliato interpretare tale comportamento come accondiscendente o provocatorio. La vulnerabilità delle donne sta nel fatto che sono ancora costrette a sentirsi  stigmatizzate anche per la scelta di un capo di abbigliamento. Nessunodice che un uomo è in un certo modo se indossa una camicia bianca, una cravatta, un maglione a collo alto o i pantaloni stretti: non viene data un’interpretazione su “che cosa ci voleva dire?”. Credo che ci sia ancora molto da fare per arrivare ad una piena parità di considerazione della persona umana come portatrice di diritti di libertà di scelta.Secondo te vivere in un clima o in una situazione di conflitto perenne èindicatore di vulnerabilità?Trovo che lo spostamento in generale abbia sempre fatto parte della natura umana quindi migrare è un fenomeno del tutto naturale. Ci sono state epoche in cui spostarsi era necessario per la  sopravvivenza. E’ un’aspirazione universale mirata al miglioramento delle proprie condizioni di vita e di quella dei propri familiari ed è una spinta inesauribile. Anche nel racconto di persone molto vulnerabili vedo questa spinta inesauribile che diventa una forza portatrice di crescita e miglioramento. Purtroppo non si tiene conto di questa forza che spinge le persone a spostarsi ad affrontare dei viaggi più o meno lunghi trasformando cosìl’aspirazione e il desiderio naturale in uno stato di vulnerabilità.Per chi vive in una situazione di conflitto trovo che si acuisca una condizione di vulnerabilità se non per altro perché vivi in una situazione di costante pericolo. Una paura costante per te e per la vita delle persone care che sono lontane. Questo porta allo sviluppo del fenomeno del lavoro nero e di condizioni di lavoro non dignitose. Queste persone non scelgono queste condizioni, sono costrette. Di conseguenza la vulnerabilità mette le persone in grave difficoltà perché gli viene attribuita la colpa della loro condizione.L’incontro con la diversità porta a una condizione di crescita o di vulnerabilità?Refugees welcome lavora tantissimo su questo aspetto attraverso il confronto reciproco su un piano di parità che si crea tra il desiderio della famiglia che accoglie di condividere uno spazio e il desiderio di chi chiede di essere accolto.Si crea così uno spazio relazionale dove si lavora molto sulla reciprocità sulla parità diciascuno e sul fatto che non c’è qualcuno più forte dell’altro poiché tutti siamo vulnerabili in vari momenti della nostra vita. Questa significa che la vulnerabilità è portatrice di risorse che sono inespresse dentro la persona: bisogna aiutare la persona a tirare fuori le sue risorse e capire che siamo tutti vulnerabili in qualche momento della nostra vita.Quale è il profilo di chi chiede di essere accolto?Il rifugiato scappato da un paese in guerra: ha fatto un viaggio pericolosissimo ed è arrivato nel nostro paese per chiedere protezione, anche se l’ha ottenuta purtroppo si trova ad avere una vita molto precaria e spesso non ha accesso alle stesse possibilità di qualcuno che ènato qui. Non è una colpa come non è un merito essere nato in un luogo piuttosto che in un altro. Questo ci spinge a fare quello che facciamo per sostenere un’idea diversa di vulnerabilità e per far riflettere tutti i protagonisti, le istituzioni, le associazioni, sul fatto che stigmatizzare qualcuno in una condizione di vulnerabilità è profondamente ingiusto oltre che profondamente inutile perché non ci aiuta a progettare una società nella quale ciascuno possa dare il meglio di sé e possa esprimere il meglio delle sue possibilità.Sei una professionista che lavora nel mondo dell’integrazioneinternazionale. A cosa associ il concetto di vulnerabilità sociale?Penso che sarebbe necessario fare una riflessione pubblica sulle varie forme di sostegno all’inclusione sociale e a mio parere aggiornarle. Ho la sensazione che la persona venga messa in un focus dove ci si concentra su tutte le vulnerabilità, senza mai buttare l’occhio sulle sue potenziali risorse e quindi la persona si dimentica di averle. Questo dovrebbe essere un tema di riflessione per la riforma delle politiche del welfare.Anche perché a parte il problema contingente di questo covid-19 era già in atto in Italia una recessione globale. Le disuguaglianze che ci sono a livello globale sono così grandi che di fatto se non si lavora su quelle noi avremmo masse enormi di persone sempre più socialmente vulnerabili e gruppi piccoli di persone sempre più forti a livello economico e politico.Consideri che la vulnerabilità sia limitata solo all’aspetto sociale?Il tema della vulnerabilità è un tema che non riguarda solo le persone ma riguarda la natura, le risorse. C’è molto bisogno di approfondire. Sarebbe bello che giornali e siti si facessero promotori di riflessioni come queste. Un confronto per capire anche quante persone sono vulnerabili e non gli viene riconosciuta loro la temporaneità della vulnerabilità oppure come, all’interno della vulnerabilità, ci siano delle risorse da riattivare e come fare per riattivarle. Abbiamo di fronte una sfida molto grossa. Ci vorrebbero delle persone di altissima levatura che prendessero le redini della politica globale e potessero fare delle scelte consapevoli che avrebbero un impatto su tutti noi e sulle generazioni future di tutto il pianeta.

 

Iuliana Dinca
(20 giugno 2020)

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