Mediatore interculturale fondamentale per gli alunni stranieri

mediatore interculturale

Chi  è un mediatore interculturale? Quale ruolo svolge a partire dalla scuola e quanto è importante per la sua comunità di riferimento? Intervista a Valentina Casavola, responsabile intercultura per la Cooperativa Sociale Apriti Sesamo e a Shamima Syeda, mediatrice a Roma per la comunità bengalese.

Il ruolo del mediatore interculturale

Valentina Casavola
Valentina Casavola

Il lavoro che svolgiamo è quello di mediazione culturale all’interno delle scuole – spiega Valentina Casavola – lavoriamo con scuole dell’infanzia e negli Istituti Comprensivi, cioè la scuola primaria e secondaria di primo grado. Abbiamo iniziato la nostra attività, nel 2003, con laboratori in cui un mediatore interculturale dialogava con gli alunni in classi in cui erano presenti bambini di origine straniera. Col passare degli anni le esigenze delle scuole sono cambiate ed é così che abbiamo iniziato a fare degli interventi specifici di mediazione per facilitare la comunicazione con le famiglie di origine straniera. Quello che succede molto spesso, infatti, è che gli insegnanti, nonostante riescano a comunicare con una famiglia di origine straniera, non ottengano poi il risultato desiderato”.

Mediatore interculturale nel sistema scolastico italiano

“Purtroppo – sottolinea Casavola –, il sistema scolastico italiano è oggi ancora estremamente arretrato nell’accoglienza degli alunni di origine straniera. In alcune scuole siamo presenti da molti anni e, nonostante questo, continuiamo a incontrare grandi difficoltà. Ci sono pochi insegnanti preparati dal punto di vista interculturale. Il problema è che molti di loro non si rendono conto del gap culturale che può presentare una famiglia di origine straniera e quindi del fatto che sia necessario ricorrere a un mediatore. Negli anni un cambiamento in positivo c’è stato, ma da parte di singoli docenti o di singoli presidi illuminati, e non per un disegno istituzionale ben organizzato”. Nelle scuole “Attraverso laboratori di educazione linguistica di italiano come L2, avvalendoci di insegnanti di italiano con specializzazione DITALS, lavoriamo con gruppi di bambini di recente arrivo in Italia che hanno bisogno di imparare la nostra lingua. A volte è anche il nostro stesso insegnante ad accorgersi di qualche bambino in difficoltà, allora si confronta con la scuola, suggerendo di attivare una mediazione culturale per entrare in contatto con la famiglia. Parallelamente, gli istituti ci chiedono mediazioni a seconda delle diverse situazioni che si presentano”.

Alunni stranieri: iscrizioni e  declassamento

Una delle situazioni tipiche nelle quali il mediatore interculturale interviene – prosegue Casavola – è quella delle iscrizioni. Le famiglie straniere hanno parecchie difficoltà ad inserire i propri figli negli istituti scolastici: spesso vige la cosiddetta pratica del declassamento, ovvero la scuola propone di inserire gli alunni stranieri in una classe inferiore a quella che in base all’età l’alunno dovrebbe frequentare. Fortunatamente questo succede sempre meno: mentre anni fa era un vero scandalo, con delle differenze d’età importanti, adesso al massimo si inserisce il bambino in una classe di un anno inferiore. Generalmente le famiglie lo accettano. Alle volte ci è anche capitato di dover spiegare alle famiglie di origine straniera l’ipotesi di una bocciatura a scuola del figlio. Si cerca allora di far capire ai genitori, ma anche al bambino, che la bocciatura non va intesa come una punizione”.

Mediatori interculturali indispensabili per DAD e Covid-19

Con l’arrivo dell’emergenza Covid-19 le scuole con cui stavamo lavorando si sono improvvisamente trovate di fronte al fatto che una buona parte di bambini di origine straniera non si collegava durante le ore di didattica a distanza. Il lavoro che abbiamo svolto è stato quello di contattare tutte queste famiglie, cercando di capire per ciascuna di loro quale fosse la causa del problema. Abbiamo dovuto far capire loro che la scuola non era chiusa; che la scuola continuava. Aiutarli a riconnettersi al resto della classe è stato un lavoro molto complicato e molto lungo, ma che a portato i suoi frutti: il 90% delle situazioni che ci sono state segnalate le abbiamo recuperate. Alcuni insegnanti con cui parlavamo davano per scontato che questi bambini non si sarebbero mai collegati. Altri docenti sono stati invece motivatissimi: ce l’hanno messa tutta per non lasciare indietro nessun alunno”.

Mediatori interculturali e famiglie

Ci vengono richieste in prevalenza mediazioni per famiglie del Bangladesh, probabilmente perché nelle scuole in cui lavoriamo è molto presente questa comunità. Le altre lingue con cui lavoriamo sono l’hindi, l’arabo per le famiglie nordafricane, il cinese e, in misura molto minore, anche il filippino, il peruviano e il moldavo. In tutti questi casi il problema è sempre di comunicazione, ma ci sono degli stili educativi molto diversi. Con le famiglie cinesi alle volte la mediazione è difficile. Chiaramente molto dipende anche dal livello socio culturale della famiglia, e questo in qualunque cultura, ma è come se ci fosse da parte loro maggiore disinteresse. Non sempre le famiglie cinesi sono interessate al dialogo con il mediatore interculturale. Da parte delle famiglie bengalesi, indiane o di lingua araba, invece, abbiamo sempre delle ottime reazioni. A volte – conclude Casavola – si crea anche una forte solidarietà fra donne, per cui può capitare che nel caso in cui una madre di un alunno straniero abbia un problema contatti la mediatrice in cerca di aiuto, di un consiglio o anche solo di una parola di conforto”.

Shamima e il corso da mediatore interculturale

Shamima Syeda
Shamima Syeda

Sono arrivata dal Bangladesh in Italia nel 1995 con un visto turistico – afferma Shamima Syeda, mediatrice interculturale di Apriti Sesamo –. Con me c’era mia figlia di 6 anni. Mio marito, invece, era arrivato in Italia 3 anni prima, ma da irregolare. Per fortuna, ad un anno dal mio arrivo siamo riusciti a regolarizzare la nostra situazione grazie a un decreto legge. Sono laureata in filosofia, ma in Italia la mia laurea non è riconosciuta. Ho seguito un corso di italiano per conoscere la lingua e nel frattempo, grazie al fatto che parlassi anche inglese, ho trovato lavoro come baby-sitter. Nel 2005 è uscito un bando della regione Lazio per diventare mediatore interculturale. Io mi sono iscritta e, dopo aver superato un piccolo esame, ho frequentato il corso della durata di 500 ore. Dal 2006 ho quindi iniziato a lavorare come mediatrice tramite una cooperativa: il mio primo incarico è stato all’ospedale San Giovanni Addolorata. Mia figlia nel frattempo è cresciuta in Italia, dove si è laureata in chimica e ha trovato lavoro”.

Mediatore interculturale: settori di intervento

“Nel mio lavoro di mediatore interculturale io mi rapporto con famiglie del Bangladesh – continua Shamima – assisto, in collaborazione con il Ministero dell’Interno, chi fa richiesta di asilo politico. In questi anni ho lavorato molto negli ospedali, dove c’è molto bisogno di mediatori bengalesi: per 3 anni all’ospedale San Giovanni, poi al Gemelli, al Sandro Pertini, al Policlinico Umberto I, solo per citare i principali. Lavoro anche con gli assistenti sociali, e per questo conosco molte famiglie bengalesi. Uno dei problemi principali che ho riscontrato è quello di mandare i figli a scuola: tanti ragazzi arrivano in Italia anche a 12 o 14 anni e si trovano molto in difficoltà perché non conoscono la lingua. Anche per i genitori è molto difficile, ad esempio per le iscrizioni dei figli negli istituti scolastici. Affianco anche i bambini più piccoli nelle classi, aiutandoli a fare amicizia con i compagni, perché alle volte i bambini bengalesi sono molto timidi, soprattutto le bambine. Parlo con i docenti e genitori: insieme cerchiamo di risolvere i problemi. Il pomeriggio aiuto con i compiti, andando direttamente a casa dei bambini. Vorrei aggiungere che, all’interno della comunità bengalese in Italia, soprattutto negli ultimi 4 anni ho seguito con gli assistenti sociali moltissimi casi di donne vittime di violenze, poiché maltrattate dal marito – denuncia Shamima –. Questo è un problema che mi preoccupa molto. Anche oggi [1 Dicembre, Ndr] ho lavorato a un caso di violenza, parlando per ore con una donna bengalese che non lavora, non parla italiano e vive reclusa in casa subendo maltrattamenti dal marito. È mio dovere aiutarla”.

Vincenzo Lombardo
(2 Dicembre 2020)

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