
Uno strano silenzio aleggia sui Balcani: è il silenzio di un’Unione Europea sempre più divisa sul tema immigrazione. Si tratta di un discorso, peraltro, che insiste quasi esclusivamente sulla gestione degli sbarchi dei migranti nel Mediterraneo centrale, sebbene la rotta terrestre balcanica rappresenti un nodo fondamentale su cui si gioca la tenuta di un’Unione Europea che si vuole democratica e incentrata sullo stato di diritto. Se ne è discusso nella due giorni di dibattiti Sulla rotta balcanica, organizzata dalla Rete nazionale RiVolti ai Balcani, tenutasi online il 27 e 28 novembre.
Le rotte dei migranti per il traffico di droga e petrolio
Il tema della rotta balcanica non si risolve unicamente sul piano umanitario e dei diritti negati alle migliaia di migranti che tentano di penetrare all’interno della “fortezza Europa”. Allargando lo sguardo ad una prospettiva più ampia, come invita a fare il giornalista di Avvenire Nello Scavo, ci si accorge ben presto che nello scacchiere balcanico giocano un ruolo fondamentale altre questioni importanti sul piano geopolitico: il traffico illegale di droga e petrolio, la strategia europea di esternalizzazione delle frontiere, il ruolo giocato dall’Occidente nel recente passato sullo scacchiere mediorientale.
Lo sfruttamento dell’immigrazione per il traffico di droga e petrolio è noto ormai da tempo a Frontex e a numerose altre istituzioni internazionali. Si tratta di un fenomeno che ha coinvolto principalmente Malta, ma che ha un suo snodo fondamentale proprio nei Balcani. “In Montenegro esiste un gruppo mafioso denominato ‘America Group’, già noto all’Ufficio Europeo Antidroga della Commissione Europea, che sfrutta le rotte dei migranti per trafficare petrolio e droga. Nell’ultimo periodo sono state segnalate ben 5 spedizioni che hanno coinvolto paesi lontanissimi come Brasile, per poi passare per la Libia, la Sicilia e la Calabria e infine i Balcani.”
La frontiera orientale e il ruolo della Turchia
Il tema dei Balcani si lega intimamente alla strategia di esternalizzazione delle frontiere portata avanti dall’Unione Europea già da anni. Emblematico è il caso della Turchia, “legata dal 2016 all’Unione Europea da un patto in cui i migranti fungono da doppia merce di scambio: ai turchi spetta il compito di porre un freno all’immigrazione in cambio di svariati milioni di euro l’anno e della promessa, mai direttamente esplicitata, di poter un giorno entrare a far parte dell’Unione.”
Non stupisce, pertanto, quanto successo la scorsa primavera alla frontiera terrestre greco-turca. “Da un lato i poliziotti greci sparavano pallottole di gomma per respingere i migranti in Turchia, dall’altro lato le forze speciali turche spingevano a suon di botte i migranti a forzare il confine con la Grecia. Nel frattempo Ursula Von Der Lyen elogiava pubblicamente la Grecia come lo ‘scudo d’Europa’”.
I respingimenti a catena che, lungo la frontiera orientale, interessano richiedenti asilo provenienti da paesi come l’Afghanistan rappresentano neanche troppo velatamente il tentativo dell’Occidente di respingere le proprie responsabilità nell’aver destabilizzato per decenni il Medioriente. “Nel 2001 abbiamo promesso all’Afghanistan di ripristinare la democrazia attraverso una guerra lampo che ha finito per creare nuove criticità. Si è trattato chiaramente di un’operazione fallimentare, che si cerca di respingere come si respingono coloro che ne sono stati le principali vittime e che premono ora ai confini dell’Europa”.
I respingimenti alla frontiera violano il diritto internazionale
I Balcani sono teatro di continui respingimenti illegali alle frontiere, le cosiddette pratiche di pushback. In virtù di un accordo bilaterale siglato dal nostro paese con la Slovenia nel 1996, l’Italia adotta nei confronti dei migranti che premono sul confine orientale le procedure accelerate di frontiera, in aperta violazione non soltanto del diritto internazionale dei rifugiati, ma anche del diritto dell’Unione Europea e della Costituzione italiana. “Lo scorso 24 luglio”, spiega il deputato Riccardo Magi “ho presentato un’interpellanza al Governo in cui chiedevo chiarimenti in merito ai respingimenti sul confine orientale. Con estremo candore il Viminale ha ammesso che il nostro paese fa ricorso a pratiche di respingimento informale. La prendiamo come una dichiarazione ufficiale, ma è comunque emblematico che nessuna parte politica abbia avanzato a gran voce richieste formali di chiarimento, come sarebbe stato lecito aspettarsi. Questo la dice lunga sul silenzio che aleggia sui Balcani e che ha come complici tutti coloro che rappresentano a vario titolo i territori che interessano il confine orientale, siano essi presidenti di regione o deputati eletti nei collegi interessati”.
Quello che accade nei Balcani è il frutto di una gestione emergenziale dell’immigrazione incentrata sul principio della riduzione del danno, senza alcuna considerazione legata ai diritti dei migranti. “Il nuovo Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo” dichiara l’europarlamentare Pierfrancesco Majorino “è del tutto inadeguato a risolvere la complessa situazione attuale: non fa che confermare la vecchia impostazione nella gestione dei confini dell’UE che ha tanti disastri ha creato in Grecia, come nel Mediterraneo come a Vuciak. Se continuiamo a considerare i confini come mere zone di contenimento di migranti, non ci sarà modo per risolvere la questione delle continue violazioni dei diritti umani che avvengono lungo la rotta balcanica. E non c’è silenzio che tenga”.
Silvia Proietti
(2 dicembre 2020)
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