Case popolari invece di sgomberi: il caso di Castel Romano

15 abitanti dell’area F del campo rom di Castel Romano la scorsa settimana sono stati trasferiti in alcune case popolari del Comune di Roma: si tratta di un precedente importante, per la prima volta in netta discontinuità con la politica dello sgombero senza soluzione che ha caratterizzato l’approccio delle amministrazioni comunali capitoline negli ultimi anni. Negli stessi giorni, in mancanza di alternative e fino a nuova sistemazione, altre famiglie provenienti dallo stesso campo sono state trasferite in un centro di isolamento Covid a carico del Servizio sanitario regionale, alimentando uno scontro tra Comune di Roma e Regione Lazio.

case popolari rom
Campo rom. Foto di Mihai Romanciuc

Case popolari ai rom: l’accesso alla riserva ERP

Un paio di apolidi in fase di regolarizzazione, un paio di italiani e per il resto cittadini bosniaci provenienti da Srebrenica, peraltro da tempo già inseriti nelle liste di attesa per l’assegnazione delle case popolari e in posizioni molto alte”: sono questi i 15 assegnatari provenienti dal campo rom, precisa Carlo Stasolla presidente dell’Associazione 21 luglio. “Hanno ottenuto le assegnazioni delle case popolari accedendo alla riserva del 15% delle quote di Edilizia Residenziale Popolare (ERP), istituita dal Regolamento regionale del 20 settembre 2000 per i casi estremi di emergenza abitativa, per la prima volta applicata nei confronti di famiglie provenienti da campi rom. Il Sindaco Raggi, che pure avrebbe potuto rivendicare il successo di questa operazione, si è espresso tuttavia ambiguamente in merito alla vicenda, quasi non volesse riconoscersi un merito. Paura delle critiche? Eppure l’unico precedente che si riscontra è quello del sindaco leghista di Ferrara, che per primo nel 2019 ha risolto il problema di un campo rom assegnando agli sgomberati le case popolari in base alla riserva del 4% di EPR prevista nel suo Comune. Da sinistra, per di più, non sarebbero mai arrivate critiche. Ma questo non è bastato, perché è chiaro che parlare di rom è sempre spinoso e getta i politici in un tremendo imbarazzo. L’elemento dirompente di questa situazione è che si è trattato dell’esito di due importanti manifestazioni da parte degli stessi abitanti dei campi, l’ultima delle quali avvenuta in Campidoglio lo scorso 26 gennaio, che chiedevano di essere ascoltati in merito alla soluzione dei loro problemi.”

Famiglie rom nei centri di isolamento covid

A complicare la vicenda è intervenuto lo scontro Comune-Regione sul collocamento di alcune famiglie sgomberate nel centro di isolamento Covid a via Monte del Gallo. “La permanenza di queste persone nel centro di isolamento Covid sarebbe costata al Sistema sanitario regionale ben 70€ al giorno. Alla luce delle proteste della Regione sono state poi trasferite in altri 2 centri di isolamento Covid, stavolta comunali, in attesa di poter accedere al percorso di co-housing con le altre famiglie del campo. Mi preme ribadire che si tratta di persone negative al tampone e che hanno subito il regime di isolamento con tutti i disagi che ne conseguono – impossibilità per i bambini di andare a scuola, impossibilità di uscire – per la cronica incapacità del Comune di rispondere alle emergenze abitative, una questione che si trascina da almeno 20 anni e che nessuna giunta è stato in grado di affrontare. A Roma i primi campi rom sono sorti sotto l’amministrazione Rutelli nel 1994. Da lì in poi si è proceduto di questo passo, con la sinistra che, in nome di una presunta irriducibilità etnica da rispettare, ha accettato di avallare questo scempio. Si sarebbe potuto parlare di baraccati, senza ridurre tutto a una questione etnica che peraltro non ha senso: molti di coloro che vengono comunemente chiamati rom difficilmente si identificano con questa definizione. O meglio: molti di loro si sentono rom a casa ma si sentono italiani a lavoro.”

Spostare i rom per spostare soldi

Analoga scarsa attenzione sul campo dei dati. Il rapporto Fantasmi urbani redatto dall’Associazione 21 luglio lo scorso gennaio, denuncia la totale sproporzione nel numero degli apolidi o delle persone a rischio apolidia rispetto a quanto stimato dalle diverse associazioni e istituzioni che vogliono occuparsi della questione rom. “In realtà si tratta di poco più di 200 famiglie in totale in tutta Italia. Il problema è che, sulla base di questi numeri, si erogano fondi e si stabiliscono politiche. Mantenere in piedi la questione rom significa mantenere un sistema basato su erogazione di fondi, istituzioni di tavoli di lavoro e via dicendo. Questo significa, nel bene e nel male, che proseguire con il sistema dei campi e spostare rom significa spostare soldi. Vorrei ricordare che l’area F da cui provengono queste famiglie, rappresenta soltanto il 10% dell’intero campo di Castel Romano, che ospita circa 560 persone. Si tratta di un’area particolarmente problematica, al centro della cronaca degli ultimi anni: è infatti costruita sui terreni privati acquistati dal faccendiere Buzzi nei pressi del nucleo originario del campo ed è un episodio centrale di tutta la vicenda di Mafia Capitale. Nel 2014 gli abitanti di questa porzione di campo sono stati lasciati per giorni senza luce né acqua creando una situazione esplosiva.”

L’approccio partecipativo contro l’ideologia dell’alterità

Nel mondo delle associazioni a supporto dei migranti e dei movimenti per il diritto all’abitare si registra una certa reticenza ad includere i rom nei loro discorsi e nelle loro pratiche. “È come se si trattasse di un’alterità assoluta e irriducibile, incompatibile con qualsiasi altra battaglia. Eppure molti rom sono richiedenti asilo a tutti gli effetti come molti migranti, molti di loro sono addirittura italiani come molti esponenti dei movimenti del diritto all’abitare. Si potrebbe fare fronte comune: nel primo caso abbandonando la teoria del nomadismo e facendo leva sulla comunanza di status giuridico, nel secondo caso parlando più propriamente di ‘baraccati’, eliminando la componente etnica e recuperando un termine usato da Petroselli”.
In occasione delle prossime elezioni comunali, a metà maggio l’Associazione 21 luglio presenterà un piano quadriennale per affrontare la questione rom. “Si tratta di un modello partecipativo, che coinvolge attivamente nelle decisioni gli stessi abitanti dei campi e gli abitanti dei quartieri. Raccogliendo le istanze portate avanti nelle manifestazioni di quest’anno rappreenta l’unica alternativa possibile agli sgomberi senza soluzione, progetti farlocchi e piani rom insensati.”

Silvia Proietti
(31 marzo 2021)

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