L’unica persona nera nella stanza, di Nadeesha Uyangoda

Quanto conta oggi il colore della pelle e cosa significa sentirsi stranieri nel Paese in cui si è nati? A queste ed ad altre domande in tema di integrazione si è cercato di rispondere in occasione della presentazione online del libro di Nadeesha Uyangoda, “L’unica persona nera nella stanza”, organizzata il 26 marzo 2021 dalla Biblioteca Amilcar Cabral di Bologna, da Black History Month – Bologna e dalla libreria La Confraternita dell’uva.

Lo straniero: un doppio estraneo

Mi sento uno straniero in Italia, anche se ci sono nato o cresciuto. Però, quando torno nel mio Paese di origine o in quello dei miei genitori, sono considerato anche lì come uno straniero” è un pensiero condiviso da molti giovani stranieri di seconda generazione, spiega Nadeesha. “Ogni società tenta di incasellare i propri componenti in compartimenti stagni, definiti secondo canoni nei quali non rientrano gli stranieri di seconda generazione, che hanno caratteristiche che provengono da almeno due diverse realtà. A questo stato di cose contribuisce la difficoltà di acquisire la cittadinanza, che viene riconosciuta in modo tardivo, cioè dopo aver vissuto per molto tempo da stranieri nello Stato in cui si è cresciuti. Il risultato è che lo straniero diventa un doppio estraneo, sia per la società da cui proviene che per quella che lo accoglie, senza appartenere a nessun mondo”.

Foto di GMA

Identità, cultura e integrazione

La costruzione dell’identità e l’elaborazione della propria idea del mondo è un processo che comincia dall’infanzia e sul quale hanno una profonda incidenza le persone che si hanno intorno e la cultura della società in cui si vive. Spesso, però, è proprio nei mezzi attraverso i quali la cultura si esprime e si diffonde, come la letteratura o il cinema, che mancano modelli adeguati nei quali i giovani stranieri possano identificarsi, sentendosi rappresentati. “In molti libri, i personaggi sono solo persone bianche: c’è un vuoto di rappresentazione che non può essere colmato solo dall’immaginazione. Per creare una cultura dell’integrazione è importante che persone di etnia diversa vengano adeguatamente rappresentate nella produzione culturale, a partire dalla letteratura per l’infanzia ai film di animazione per bambini, perché è anche attraverso questi strumenti che si formano i futuri cittadini”.

Razzismo sistemico e colorismo

“Si tende a considerare il razzismo come un fenomeno asistematico, non individuando il filo rosso che collega un episodio di razzismo ad un altro. Il razzismo, invece, è un fenomeno sistemico: esso si basa su una serie di sovrastrutture di natura politica, economica e culturale, (…) che affondano le proprie radici nell’epoca coloniale e che hanno determinato una posizione di supremazia della razza bianca rispetto ad altre etnie”. In questo contesto si inserisce il “colorismo”, cioè “una forma di razzismo interiorizzato dalle stesse comunità delle minoranze straniere, rendendo l’estetica occidentale il punto di riferimento anche al loro interno. Questa forma di discriminazione, in origine riguardante solo il colore della pelle, si è poi estesa ad altri tratti somatici e ha portato alla nascita di una “chirurgia estetica etnica”, volta a rimuovere i tratti tipici dell’etnia di appartenenza per assumere quelli occidentali”.

Il diritto di essere se stessi

“Il mondo mediatico tende ad “oggettificare” le persone nere o appartenenti a minoranze etniche”, coinvolgendole per affrontare temi come l’immigrazione, il razzismo o l’integrazione, di cui diventano il simbolo e limitandosi ad una rappresentazione che finisce per focalizzarsi solo sul colore della pelle. (…) Occorrerebbe, invece, considerare gli stranieri come persone uguali a tutte le altre, riconoscendo anche a loro il diritto di essere semplicemente se stessi”.

Valeria Frascaro
(29 marzo 2021)

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