Rider contro l’invisibilità: verso lo sciopero del 26 marzo

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Foto Pixabay

Immigrati che necessitano di un lavoro per mantenere il permesso di soggiorno, giovani e studenti che tentano di arrotondare, ma anche sempre più uomini e donne che hanno fatto del food delivery la propria prima occupazione: questo è il popolo dei rider, la cui battaglia per il riconoscimento dei diritti procede a ritmi sempre più serrati. A conclusione delle indagini della procura di Milano, che ha comminato 733 milioni di euro di multa a Uber Eats, Glovo, JustEat e Deliveroo unita all’obbligo di assumere almeno 60 mila ciclofattorini in tre mesi, i rappresentanti della rete “Rider X i diritti” provenienti da più di 30 città italiane si sono riuniti il 25 febbraio in un’Assemblea generale. La rete, che comprende varie sigle sindacali tra cui Nidil CGIL e UILTuCS, ha indetto uno sciopero nazionale per il prossimo 26 marzo, invitando i consumatori a sostenere la causa boicottando lo stesso giorno le piattaforme di food delivery.

Una narrazione funzionale allo sfruttamento

C’è un tipo di narrazione che viene associata al mondo dei riders: quella che si tratti di “lavoretti” di ripiego, per arrotondare. “Se è vero che al Nord il mondo dei rider vede impiegati molti studenti o giovani immigrati ricattati per via del permesso di soggiorno, al Sud sono sempre di più coloro che sono impiegati come ciclofattorini come primo lavoro, spesso trentenni o quarantenni da sempre abituati a svolgere lavori saltuari e poco tutelati”, spiega Antonio Prisco della Nidil CGIL di Napoli e rider. “Questo tipo di narrazione è funzionale alle grandi aziende di food delivery per giustificare la propria politica salariale a ribasso. La nota veramente positiva è che oggi soggetti tanto diversi, tutti a vario titolo ricattabili dalle varie aziende, sono riusciti a fare causa comune e a far sentire la propria voce: soltanto nell’ultima settimana sono nati ben 3 gruppi organizzati di rider in Liguria”.

L’universo in crescita dei riders

Quello dei rider è un universo composito e in netta crescita. “A partire dal primo lockdown è aumentato del 300% il fatturato delle aziende di food delivery e del 400% la presenza dei riders su strada. Questo fatto ha comportato una caduta dei salari impressionante, in alcuni casi anche del 50%, dovuta a una maggiore disponibilità di lavoratori che ha comportato una gara a ribasso. A questo si aggiunge la natura ricattatoria e discriminatoria dell’algoritmo delle piattaforme e il pagamento a cottimo, che costringe i lavoratori a ritmi di lavoro impressionanti anche a rischio della propria sicurezza. Il ranking dell’algoritmo discrimina i lavoratori che si assentano anche solo una volta, senza alcuna possibilità di appellarsi”.

Una battaglia lunga mesi e anni

I riders rappresentano una categoria professionale che ha assunto sempre più visibilità a partire dal primo lockdown. “A marzo per le strade d’Italia eravamo tra i pochi ad essere visibili: bastava affacciarsi a un balcone di qualsiasi città italiana e si sarebbe visto passare sicuramente un rider”. Questa visibilità fisica, tuttavia, non si è accompagnata una visibilità in termini di diritti, oggetto di una battaglia che i riders combattono da almeno 5 anni.  “Lo sciopero dello scorso 30 ottobre, a seguito del vergognoso contratto nazionale a ribasso firmato il 16 settembre 2020 da Assodelivery (la rete delle associazioni di food delivery, ndr) e UGL, è stata la prima grande manifestazione che abbiamo portato avanti dopo la pandemia. Allora come oggi chiedevamo il riconoscimento delle tutele e dei diritti fondamentali dei lavoratori – malattie, ferie, maternità – e salari adeguati.” La storica sentenza del tribunale di Bologna del 31 dicembre 2021 che si è pronunciata sul carattere discriminatorio dell’algoritmo è stata preceduta, lo scorso novembre, da un’altra sentenza del tribunale di Palermo, a seguito della quale il rider Marco Tuttolomondo è stato assunto con contratto subordinato a tempo determinato dalla piattaforma Glovo.

Dalla magistratura alla politica

Le varie sentenze che si sono susseguite nel corso di quest’ultimo anno sono state un fattore propulsivo per la creazione di un tavolo nazionale con il Ministero del Lavoro. La crisi di governo appena superata e il conseguente cambio di titolare del Ministero, ha posto un improvviso e inaspettato freno al dialogo. Ma ora la palla è di nuovo passata dalla magistratura alla politica: cambiano i ministri ma il problema rimane. Uno spiraglio di luce, tuttavia, sembra provenire da Bruxelles: la Commissione UE ha avviato il 24 febbraio la prima fase di consultazioni con le parti sociali per affrontare il tema dei rider e l’impatto delle piattaforme sulle nuove forme di precarietà del lavoro. “Ma per quante leggi si possano promulgare, se non si cambia il sistema di business non si risolve nulla”.

Silvia Proietti
(03 marzo 2021)

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