Apolidia: da IBELONG alla Global Alliance to End Statelessness

A febbraio 2025, l’Alto Commissario ONU per i rifugiati ha pubblicato il nuovo rapporto sulla Mappatura dell’apolidia in Italia. Il dato a cui fa riferimento il documento è purtroppo fermo al 2022, si stima che le persone apolidi o a rischio di apolidia in Italia siano 3000, in maggioranza appartenenti alla comunità Rom e Sinti, originarie dell’ex Jusgoslavia.

Enrico Guida, Protection Associate presso UNHCR dal 2016, anno in cui su iniziativa di UNHCR, nasce il Tavolo Apolidia. Il Tavolo, coordinato da Guida, ha coinvolto le organizzazioni già attive nel supporto agli apolidi e nella prevenzione dell’apolidia.

Da IBELONG a la Global Alliance to End Statelessness

“I risultati della campagna IBELONG 2014/2024”, dice Guida “sono stati apprezzabili ma non sufficienti, circa 600.000 persone apolidi nel mondo hanno ottenuto la cittadinanza.
Gli apolidi certificati sono 4.4 milioni ma sono dati forniti dai 93 Stati che hanno aderito alla richiesta di UNHCR, a fine 2023.  Detto ciò, quando era stata lanciata la campagna, si stimava la presenza nel mondo di 10 milioni di persone apolidi o a rischio apolidia, l’obiettivo dichiarato era quello di porre fine all’apolidia, va da sé che l’obiettivo non è stato raggiunto. Forse uno dei limiti della campagna IBELONG era quello di essere un progetto portato avanti solo da UNHCR, non c’era il diretto coinvolgimento delle altre associazioni di apolidi. Alla luce di questa consapevolezza, è stata avviata, il 14 ottobre 2024, l’iniziativa multi-stakeholder Global Alliance to End Statelessness, a cui partecipano più di 100 Governi, associazioni e privati. L’obiettivo è quello di creare una piattaforma di regia che coordini l’attività delle organizzazioni di apolidi e degli Stati”

Non possiamo creare un esercito di apolidi, la situazione in Italia

Ottenere lo status di apolide è il prodromo per richiedere la cittadinanza. Dal riconoscimento dell’apolidia il soggetto può richiedere la cittadinanza italiana dopo 5 anni contro i 10 anni richiesti ad un immigrato regolare. “Da questo punto di vista” dice Guida “la situazione dell’immigrato è peggiore, riconoscere lo status di apolide è certamente la situazione più urgente ma non possiamo darci come obiettivo quello di creare un esercito di apolidi. Tra l’altro, i Paesi che hanno una procedura per determinare l’apolidia non sono molti, in questo l’Italia è senz’altro all’avanguardia. Recentemente, nell’ambito della strategia nazionale di inclusione dei Rom e Sinti 2021/2030, il Governo italiano si è impegnato ad esplorare ulteriori soluzioni. L’Italia dispone, inoltre, di due procedure alternative per richiedere lo status di apolide, una per via amministrativa e l’altra per via giudiziale. In alternativa il richiedente può ottenere un titolo di soggiorno ma rimane privo di un titolo di viaggio”

I limiti da superare, informare e semplificare le procedure

Il riconoscimento dello status di apolide” ribadisce Guida “deve essere una misura transitoria. Bisogna accelerare la procedura e fare una campagna di aggiornamento per chi lavora nella Pubblica Amministrazione, molti non riconoscono i documenti rilasciati ad un apolide”. Dello stesso parere è Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 Luglio che denuncia la farraginosità delle procedure. “In effetti” dice Guida “anche in Italia è difficile concludere le procedure positivamente. Ad esempio, si richiede il certificato di nascita ma come può il richiedente produrre un documento di nascita se non ha una nazionalità riconosciuta? Un altro limite è il requisito di reddito, di solito il richiedente non riesce ad ottenere un lavoro o lavora in nero per cui non riesce a dimostrare di avere avuto un reddito nei tre anni precedenti la richiesta dello status di apolide”. In Italia si stima che siano dalle 3000 alle 15000 le persone apolidi o a rischio apolidia, quelli ufficiali sono 593 e si tratta, in genere dei Rom e Sinti. “Si fa fatica ad includere nella stima persone che pure sono presenti in Italia, i Rohinja dal Myamar in Birmana, i Bidun dal Kuwait, i Saharawi, dal Sahara Occidentale, persone provenienti dagli stati dell’ex URSS e dal Tibet, gli emigrati cubani, i palestinesi.

La prassi a supporto dei richiedenti lo status di apolide

Se la legislazione in materia di apolidia langue sono stati fatti peraltro dei passi in avanti, “C’è una flessibilità maggiore da parte del Ministero dell’Interno” dice Guida “prima, tutto era interpretato in modo assai restrittivo, si richiedeva un certificato di nascita, ad oggi il Ministero dell’Interno accetta domande di apolidia anche da parte di chi può semplicemente dimostrare la sua presenza sul territorio”. Così, sembrerebbe non più necessario un certificato di nascita come recita l’ordinanza del Tribunale di Roma 25/11/2022.
Non si tratta però di una riforma normativa. “Nel 2015 era stata avanzata una proposta di Legge da parte della Commissione per i diritti umani del Senato – disegni di legge 21 48 2015 – ma la legislatura terminò e la discussione non avvenne”.

Apolide de jure e apolide de facto, l’apolide vive e muore nel paese dove è nato

“In Italia” spiega Guida “la terminologia giuridica sta ad indicare che de jure è chi viene riconosciuto apolide”. Apolidi de facto sono i rifugiati che non hanno documenti o coloro che non hanno uno Stato di riferimento, “Sono persone che hanno una cittadinanza che però di fatto è svuotata di qualsiasi diritto. Il caso più consistente è quello dei Rohinja, apolidi nella loro stessa terra che poi è il caso della maggioranza degli apolidi” specifica Guida “l’apolide di solito vive e muore nel paese in cui è nato”.

Intercettare gli apolidi fra i rifugiati e i richiedenti asilo

La sfida, secondo Guida, è quella di intercettare le persone a rischio apolidia fra i richiedenti asilo e i rifugiati, “L’interessato in genere si accontenta della protezione internazionale, sono persone che appartengono a minoranze etniche o che non hanno alcun documento”.

L’appello globale di UNHCR: i bambini senza cittadinanza

L’appello globale di UNHCR per il 2025 è rivolto a tutti gli Stati che dovranno accogliere i minori migranti. Si calcola che ogni anno nascano 70mila bambini privi di cittadinanza, trend in crescita per il 2025. Molti di loro arriveranno in Italia, destinati ad alimentare il mercato dello sfruttamento e degli abusi sui minori. Gli stateless children sono quelli più a rischio, come rileva la professoressa Marianna Lunardini. La professoressa auspica che “il concetto di protezione dei minori sia esteso fino ai 25 anni per assicurare un’autonomia abitativa e lavorativa”.

La maternità surrogata: i bambini senza certificato di nascita

A questi numeri significativi va ad aggiungersi un piccolo drappello di bambini nati da maternità surrogata. La legge 169/2024 ha reso perseguibile il reato della Gestazione Per Altri, il genitore biologico non può pertanto riconoscere il figlio avuto all’estero tramite accordi di maternità surrogata. Ancora una volta, è la prassi a risolvere il problema: il Tribunale di Berico ha accolto, a seguito condanna da parte della Corte europea dei Diritti dell’Uomo,  il ricorso del padre biologico e ordinato all’anagrafe di Vicenza di rilasciare il certificato di nascita alla bambina nata nel 2019 da maternità surrogata. È pertanto l’interesse superiore del minore a prevalere, in accordo col l’art. 8 della CEDU.

Livia Gorini
(28 aprile 2025)

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