
10 milioni gli apolidi nel mondo; seicentomila in Europa: le stime di UNHCR ribadiscono l’urgenza di una soluzione sul tema apolidia. Se ne è discusso nell’incontro del 10 ottobre promosso dalla Commissione diritti umani del senato, in collaborazione con l’UNHCR e il CIR, presso la biblioteca del senato Giovanni Spadolini, in occasione del 60° anniversario della convenzione del 1954 sullo status degli apolidi.
Il dibattito, guidato dal giornalista Gad Lerner, ha fatto richiamo al trattato internazionale del 1954 sulla definizione di apolide, “Non considerato come cittadino da nessuno stato per applicazione della sua legislazione”. Grazie alla sua ratifica nel 1962, l’Italia figura tra i tredici paesi dotati di una duplice procedura per il riconoscimento di tale status. Accanto ad una prassi amministrativa di certificazione della condizione di apolide tramite la richiesta del permesso di soggiorno e della residenza legale, vige una prassi giudiziale, che prevede unicamente la domanda di assistenza legale. Tuttavia, entrambe rivelano lacune e criticità, a causa della difficoltà per i soggetti interessati di accedere alla documentazione necessaria e di sostenere economicamente le spese di un giudizio ordinario di cognizione.
“Semplificazione e maggiore fruibilità diventano gli imperativi dell’azione di governo”, assicura il presidente della Commissione Luigi Manconi, “per approvare, entro la fine del 2014, un disegno di legge che integri le due procedure, in vista di una riforma generale sullo status di cittadinanza”. Nello specifico, l’Italia conta la presenza di una comunità di quindicimila giovani figli di rom dalla ex Jugoslavia, annoverati tra gli apolidi o a rischio apolidia, e arrivati come profughi, rifugiati e sfollati, in seguito alla frammentazione territoriale dei Balcani, frutto del conflitto dei primi anni novanta.
Al centro del convegno è stata posta anche la convenzione del 1961 sulla riduzione dei casi di apolidia, che manca ancora dell’adesione dal nostro paese. In tale direzione, l’intervento politico italiano vuole porre fine alla negazione dell’esistenza giuridica, che condanna gli apolidi ad un limbo legale. Ius soli e ius sanguinis costituiscono i principi base per la concessione della cittadinanza: ne deriva quel diritto a godere dei diritti che potrà sottrarre questi apatrie dalla condizione di stranieri tra gli stranieri, e garantir loro una patria.
Clara Agostini (13 ottobre 2014)
Leggi anche: