“Sono arrivata a Palermo nel 2005 e sono stata muta per 2 mesi”, racconta Vasilica: “l’unica cosa che sapevo dire in italiano era – buongiorno signora – sì, signora; poi, attraverso i libri che c’erano in una delle case in cui ho lavorato, ho imparato l’italiano. Dopo sono andata a lavorare come badante a Milano e lì sono rimasta per 9 anni”. “Con me sono arrivate in Italia altre donne che, dalla Romania, venivano a cercare lavoro: per qualsiasi difficoltà mi rivolgevo a loro, sono state il mio punto di riferimento. A casa lasciavo i miei due figli, Adrian e Alessandro, che avevano 11 e 9 anni: per dei bambini non era facile capire perché la mamma non tornasse, ma per dieci anni li ho visti solo una volta all’anno”.
“Sono partita da sola ed è stata la povertà che mi ha spinta a farlo”. “Non avrei potuto portare i miei figli con me: dovevano andare a scuola, avere un posto per dormire, qualcuno che si occupasse di loro mentre lavoravo e in Italia non potevo permettermelo”.
Orfani bianchi: le difficoltà del ritorno
“È stato mio figlio Alessandro a chiedermi di tornare: stava finendo la scuola, doveva sostenere degli esami e mi ha detto – “mamma, torna perché ho bisogno di te”. Erano le parole che aspettavo”, rivela Vasilica senza nascondere la commozione legata al ricordo di quei momenti. “Tornare a vivere in Romania è stato difficile. Facevo fatica ad uscire, non parlavo con nessuno, vedevo che tutto era cambiato, anche i miei figli. La famiglia, però, è sempre stata la cosa più importante per me, quindi ho fatto di tutto per sistemare le cose: mi sono fatta aiutare”. “Parlare di quel periodo fa ancora male e tutta la famiglia porta i segni di quella lontananza, ma questa sofferenza non è solo la nostra”, prosegue Vasilica: altre famiglie continuano a doversi separare e i problemi del passato rimangono gli stessi. “Io sono partita per l’Italia sedici anni fa, ma rispetto ad oggi non è cambiato niente: si continua a lavorare in nero, mancano psicologi ed assistenti sociali che si preoccupino della salute dei bambini che rimangono in Romania. Per tutti questi motivi ho deciso di fare ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo”.
Orfani bianchi: violazione dei diritti umani
Di queste vicende non si sa molto e troppo spesso sono notizie che passano in sordina. Parlare della vicissitudine di Vasilica, soltanto una delle tantissime storie di famiglie segnate dalle migrazioni per lavoro, è rendere manifesta la necessità di dar voce agli invisibili, a chi non vede tutelati i propri diritti.
Le avvocate Angela Maria Bitonti del foro di Matera e Sonia Sommacal del foro di Belluno hanno accettato la difesa della Baciu e hanno portato la questione dinanzi alla Corte di Strasburgo, ritenendo che la sua storia, grazie anche alla diffusione mediatica e al sostegno nella raccolta dei dati di Silvia Dumitrache, possa avere degli effetti di portata straordinaria.
Gli Stati, in questi anni, si sono completamente disinteressati di adottare politiche sociali specifiche a sostegno di queste famiglie fragili, essendo interessati invece, da entrambe le parti, quindi i paesi di partenza e i paesi di arrivo, soltanto all’economia del fenomeno. Le donne, senza tutele, sono costrette a migrare a causa della mancanza di lavoro e della possibilità di sostentamento, questo stato di necessità e di disperazione accentua la violazione dei diritti umani, su di loro e sui minori lasciati a casa.
Le percentuali di minori left behind, come sono stati costretti ad essere i figli di Vasilica, è allarmante. I cosiddetti “orfani bianchi”, affidati alle cure di anziani genitori o di padri spesso assenti sono portati ad abbandonare la scuola, soffrono di depressione e sovente vivono condizioni psicologiche così provanti da tentare il suicidio. In Romania, paese di origine di Vasilica, è stimato che il 75% dei bambini vive questa condizione, ma il fenomeno non è solo circoscritto alla popolazione romena ma ad un esteso numero di realtà che non tutela né i minori né le madri lavoratrici migranti.
Orfani bianchi: un primo passo verso il riconoscimento
La raccomandazione 2366, espressa dalla Corte il 19 marzo 2021, ha evidenziato la sussistenza del problema e rappresenta un passo fondamentale nel porre l’attenzione sull’argomento, tuttavia dal focalizzare il punto alla risoluzione il passo non è breve mentre ciò che è essenziale è proprio la tempistica. Velocizzare il processo è essenziale in questa fase nonostante manchi alla base una vera e propria volontà di deliberazione e di intesa tra le Nazioni. Non è semplice far colloquiare su uno stesso piano giurisdizioni diverse, ma dal momento in cui si inizia un dialogo su un argomento la soluzione è possibile trovarla.
Orfani bianchi: il ricorso alla Corte di Strasburgo
Nel ricorso, le avvocate hanno convenuto l’Italia e la Romania, i paesi coinvolti nella storia di Vasilica, hanno lamentato la violazione dell’articolo 8 e dell’articolo 14 della CEDU, sollevando per la prima volta la questione sia a livello nazionale che a livello europeo.
“L’interesse non è quello di ottenere una condanna pecuniaria dello Stato, bensì una sentenza che obblighi gli Stati a dotarsi di strumenti normativi idonei ad evitare queste violazioni, la speranza è che la Corte possa emettere un giudizio esemplare, una “sentenza pilota” atta ad indirizzare le politiche di questi paesi”.C’è fiducia, tuttavia, che prima ancora della sentenza di Strasburgo, possa arrivare una legge nazionale, è importante infatti ricordare che la Corte di Strasburgo non potrà di per sé stabilire una norma ad hoc, ma potrà obbligare lo stato a legiferare”, per porre l’attenzione proprio su questo punto non è stata fatta nessuna richiesta risarcitoria nei confronti degli Stati, anche perché quantificare la sofferenza di un minore è impossibile, ma è stato chiesto alla Corte di riconoscere la violazione dei diritti e di vincolare gli Stati ad intervenire sul vuoto normativo che ha consentito alle avvocate di adire la Corte mediante un ricorso diretto.
Sollevare l’attenzione sul tema è estremamente importante per tenere il dibattito vivo e propositivo non solo in Italia ma in tutta la comunità europea, “quello che manca alla base è il colloquio tra giurisdizioni diverse, e questo dipende anche dalla sensibilizzazione, ed è proprio una pronuncia che faccia leva sulla sensibilità legislativa ciò che si vuole ottenere”.
Questo l’obiettivo delle avvocate Angela Maria Bitonti e Sonia Sommacal, e di attiviste come Silvia Dumitrache, che lottano quotidianamente per tutelare i diritti di donne come Vasilica: far sentire la voce di chi questa realtà la vive e chiedere una giustizia possibile.
Valeria Frascaro e Elisa Galli
(29 giugno 2021)
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