L’atmosfera desolata e nebbiosa, serve a introdurre Leysa, il suo arriva in carcere, la Colonia 74 di Odessa in Ucraina. Leysa è la protagonista di Cenzorka, 107 Madri, il docufilm del regista slovacco Peter Kerekes presentato alla 78 Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti.
Cenzorka: la solitudine delle donne
Il ritmo è lento nell’illustrare le visite mediche di controllo delle detenute in gravidanza. Il primo violento strappo è il parto, ripreso dal vero, una scena forte e drammatica come fu il primo parto mostrato al cinema dalla regista ungherese Márta Mészáros, nel 1976, in Nove mesi. Una citazione non casuale, anche Mészáros è stata autrice di film sulla solitudine delle donne, come Kerekes in Cenzorka,
Cenzorka: fra realtà e finzione
Finzione e realtà sono sapientemente mescolati nel film, analogamente alle protagoniste, siano esse detenute o guardie, entrambe segnate dalla vita di reclusione. Kerekes ha trascorso con l’attrice protagonista molto tempo in carcere perché voleva “che il film rappresentasse una testimonianza autentica e collettiva delle madri recluse”.
Madri che piano, piano imparano dietro alle sbarre a vivere il proprio ruolo.
Solo avanti nella storia si saprà che Leysa è reclusa perché è accusata di un delitto passionale e ha una condanna di sette anni da scontare.
Cenzorka: quale soluzione oltre la separazione
L’altra scena che non si dimentica e la preparazione e la festa che ogni mamma realizza per i tre anni del proprio bambino, non si dimentica perché è reiterata per diverse detenute e perché termina sempre nella stessa maniera straziante: il bambino viene sottratto per essere adottato o andare in orfanatrofio e la madre continua a scontare la sua pena.
Ma in un luogo di reclusione di sole donne, dove detenute, guardie e infermiere convivono strettamente, si creano legami forti che possono superare anche i contrastati rapporti famigliari portando a soluzioni insperate.
Nicoletta del Pesco
(6 settembre 2021)
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