MedFilm Festival 2021: la giuria internazionale Piuculture

Da venerdì 5 novembre al via a Roma la 27° Edizione del MedFilm Festival 2021, il più antico festival del cinema dedicato al Mediterraneo, come fonte di ispirazione artistica, come luogo di incontro tra culture, ma anche come realtà economica. Il Festival, che si concluderà domenica 14 novembre, rende il cinema un’occasione per promuovere la tutela dei diritti umani. La Giuria Internazionale Piuculture parteciperà alla valutazione delle pellicole in gara per il Concorso Ufficiale, che si svolgerà durante l’evento e che condurrà all’assegnazione del Premio Amore e Psiche: 7 giurati provenienti da 3 continenti esamineranno 9 film che raccontano 9 Paesi diversi. La Redazione li ha intervistati per approfondire il loro punto di vista sui due pilastri del Festival: il cinema e il Mediterraneo. Ecco le prime quattro interviste.

Roxana Ene – Musicista e cantante originaria della Romania

Roxana Ene (Foto di Antonello Casalini)

Che spazio ha il cinema nella sua vita e quale ruolo potrebbe o dovrebbe avere in questo nostro tempo?

Nella vita ho fatto teatro, quindi conosco il ruolo dell’attore, la sensazione di stare su un palcoscenico e l’importanza dell’interpretazione: al cinema il palco manca, ma la dimensione attoriale è ugualmente essenziale e, in questo senso, la capisco e la sento vicina. Nel cinema vedo una forma di arte che, attraverso suoni e immagini, è in grado di trasmettere emozioni e raccontare realtà anche senza ricorrere alle parole: una chiave emotiva che consente allo spettatore di conoscere e capire un mondo che non gli appartiene, superando le barriere linguistiche. È la stessa esperienza che ho vissuto io con la musica, che è stata per me un mezzo per esprimermi e comprendere anche quando non conoscevo l’italiano.
Le pellicole in concorso esprimono la contaminazione: raccontano l’incontro tra culture diverse e il processo che, in tale contesto, conduce alla costruzione di relazioni interindividuali. È questa l’occasione che fornisce il Festival: affrontare e realizzare il tema dell’intercultura attraverso i film e, per noi giurati, attraverso l’incontro con persone aventi un’origine e un vissuto molto diversi l’uno dall’altro.

Tenuto conto della sua esperienza personale, quali sentimenti, riflessioni o esperienze evoca in lei la parola “Mediterraneo”?

Ci sono due momenti che mi tornano subito alla mente. Il primo riguarda il periodo in cui ho prestato servizio come volontaria in un centro SPRAR: lì ho incontrato molti giovani rifugiati e ho potuto conoscere le loro storie. La cosa che mi ha colpita è stato rendermi conto di come dietro ai loro sorrisi ci fossero amici morti in mare, genitori maltrattati o dispersi nel deserto.
Il secondo ricordo riguarda un episodio più recente. Faccio parte di un coro multietnico e tutti insieme abbiamo lavorato per intonare un brano molto toccante: è la storia di un bambino disteso senza vita sulla spiaggia, morto nel tentativo di attraversare il Mediterraneo. Un giorno, proprio durante le prove di questa canzone, un ragazzo del coro, che fino a quel momento non era mai riuscito a raccontare la sua esperienza di migrazione, è scoppiato a piangere, affidando alle lacrime il dramma di cui non riusciva a parlare.

Saida Hamouyehy – Scrittrice originaria del Marocco

Saida Hamouyehy

Che spazio ha il cinema nella sua vita e quale ruolo potrebbe o dovrebbe avere in questo nostro tempo?

Il cinema ha avuto un ruolo importante nella definizione della mia identità. Sin da piccola sono abituata a guardare pellicole di origine straniera: da bambina guardavo film italiani, ma anche egiziani e siriani, in lingua araba e berbera, che mi hanno aiutato a conservare il legame con la mia cultura di origine; crescendo mi sono avvicinata al cinema cinese e giapponese. Penso che il cinema debba essere valorizzato come utile strumento per costruire un dialogo tra culture: è un mezzo che può aiutare le minoranze a superare il pregiudizio che, a volte, le circonda e dimostrare che la propria cultura, sebbene diversa, non è una minaccia o un nemico da combattere, ma ha la stessa dignità di ogni altra cultura e contribuisce alla costruzione di una società globale – cioè in grado di integrare in sé tanti modi di pensare. La pellicola ha una grande potenzialità, da sfruttare per affrontare questioni sociali e culturali, ma anche quelle climatiche: anche su questo piano, un film ben girato può fare la differenza.

Tenuto conto della sua esperienza personale, quali sentimenti, riflessioni o esperienze evoca in lei la parola “Mediterraneo”?

Il Mediterraneo, oggi, rappresenta un luogo di morti, di naufragi e ciò corrisponde alla realtà di questo momento storico, ma non è e non è stato solo questo. Il Mediterraneo è un luogo di incontro: è attraverso questo mare che i popoli del Nord Africa – di cui sono originaria – hanno conosciuto altri popoli e le relative culture; è qui che si sono svolte le vicende di Odisseo; è una importante rotta commerciale. Tenere presente tutto questo è un punto di partenza importante per modificare quello che il Mediterraneo appare nella società odierna: considerare le sue potenzialità positive sul piano della cultura, del commercio, dell’arte costituisce un incentivo a valorizzare questi aspetti della sua natura e contrastare il suo essere solo scenario di morte. Per tale ragione sono onorata di partecipare ad un evento come il MedFilm Festival, che pone al proprio centro il Mediterraneo come luogo di incontro tra culture europee ed extraeuropee, come quella del mio Paese di origine.

Jada Bai – Mediatrice culturale originaria della Cina

Jada-Bai

Che spazio ha il cinema nella sua vita e quale ruolo potrebbe o dovrebbe avere in questo nostro tempo?

Per me il cinema è stata una conquista: quando ero bambina non ho avuto molte occasioni per andarci perché, come famiglia di migranti, avevamo altre priorità; da adulta, però, ho “recuperato” molti dei film che non avevo visto in passato ed andare al cinema è diventata una occasione di incontro.
Nelle pellicole sul grande schermo vedo una forma d’arte complessa, da considerare secondo due distinti punti di vista, solo apparentemente contrapposti. Da un lato il cinema, come ogni manifestazione artistica, ha l’opportunità di esprimere la realtà della società che lo circonda, di raccontarla anche senza esserne necessariamente una rigorosa riproduzione e, per questa via, trattare i temi che la animano, come la migrazione o le questioni di genere. Questo significa, per esempio, che se una “bella storia” può essere raccontata anche attraverso dei “visi diversi”, portando avanti tematiche sociali, può essere positivo realizzare una narrazione attenta al profilo dell’inclusività, anche sul piano della scelta degli interpreti e dei personaggi rappresentati. Per un bambino migrante, infatti, vedere che l’eroe di un film ha i suoi stessi tratti somatici, può essere la via per imparare a “sognare in grande”, senza lasciarsi scoraggiare dallo stereotipo costruito da quell’immaginario collettivo che, in futuro, lo vede svolgere unicamente lavori umili. Dall’altro lato, però, questa opportunità non deve trasformarsi in un vincolo, un limite stringente che ingabbia la creatività artistica del cineasta, costringendolo ad una rappresentazione obbligatoriamente inclusiva perché il risultato sarebbe solo una forzatura.

Tenuto conto della sua esperienza personale, quali sentimenti, riflessioni o esperienze evoca in lei la parola “Mediterraneo”?

Sono originaria della Cina, ma sono cresciuta e ho studiato in Italia e mi sono scoperta molto più legata al Mediterraneo di quanto credessi. Basta pensare che a scuola si studiano i popoli antichi che hanno solcato questo mare per commerciare e per farsi conoscere, si seguono le vicende dei grandi navigatori che lo hanno attraversato spinti dalla curiosità di esplorare il mondo: in sostanza, il Mediterraneo è “la culla della cultura della nostra società”. Nell’approccio al Mediterraneo di oggi, invece, questo approfondimento manca, manca la valorizzazione della sua importanza culturale anche per la società odierna. Il Mediterraneo ora è “divisione”, è povertà assoluta, è il racconto di navi di disperati che tentano di arrivare in Italia: il risultato è che questo mare richiama alla mente quasi esclusivamente l’idea di rischio e di minaccia, un desiderio di fuga, anche sul piano conoscitivo, da quello che una volta era raccontato e considerato come una sorta di “fucina della civiltà”. E l’effetto che ne deriva, secondo me, è quello di generare un ulteriore ostacolo all’accoglienza di chi, attraverso questo mare, tenta di arrivare qui nella speranza di una nuova vita.

Sonia Lima Morais – Presidentessa dell’Associazione Donne Capoverdiane

Sonia Lima Morais

Che spazio ha il cinema nella sua vita e quale ruolo potrebbe o dovrebbe avere in questo nostro tempo?

Penso che il cinema abbia da sempre una grande responsabilità nel veicolare messaggi su temi come l’integrazione, il ruolo della donna, l’educazione, il bullismo, nel contribuire alla maturazione di una mentalità politica e nell’incidere sulla definizione di un sistema economico. Guardando alla mia infanzia di migrante di seconda generazione, però, raramente mi sono sentita rappresentata nel racconto proposto attraverso un film.
Oggi siamo tutti interconnessi grazie ad una molteplicità di nuovi mezzi di comunicazione che si affiancano a quelli del passato e ciascuno di essi, tra cui il cinema, può essere uno strumento importante per superare “l’ideologia delle etichette”, cioè quel modo di definire le persone inserendole entro categorie che diventano dei compartimenti stagni senza possibilità di uscita, in cui la donna è e può essere solo moglie e madre, il migrante, se uomo, solo un criminale o un giardiniere; se donna, solo una governante o una baby sitter. Ognuno di noi, invece, è e può essere tante cose, può avere un bagaglio culturale molto variegato e la pellicola cinematografica può contribuire a far capire che una persona può avere tante sfaccettature che non si escludono l’una con l’altra e che quindi anche il migrante non è soltanto qualcuno con un background migratorio, ma un individuo con una pluralità di interessi.

Tenuto conto della sua esperienza personale, quali sentimenti, riflessioni o esperienze evoca in lei la parola “Mediterraneo”?

Pensando al Mediterraneo provo due sentimenti, quasi opposti tra loro. Non ho vissuto direttamente la migrazione: sono nata in Italia da genitori stranieri, ma per il lavoro che faccio, spesso mi trovo a pensare a questo mare come ad un “non luogo” o ad un “luogo disumanizzante”. A questo si accompagna un senso di colpa per tutti coloro che, attraversandolo, hanno perso la vita, in passato come oggi. Guardando avanti, però, la prospettiva cambia. Nella realtà ci sono tante persone pronte ad accogliere, a prescindere dalle posizioni assunte dalla politica, sebbene una precisa scelta istituzionale e giuridica in materia di migrazioni sia un supporto indispensabile per realizzare un cambiamento sociale concreto e duraturo: realizzare una società che si muova nella direzione dell’interazione, intesa come scambio, cioè come luogo di condivisione delle esperienze tra individui che siano veramente alla pari tra loro. Questo è ciò che possiamo costruire per le generazioni future.

Valeria Frascaro
(3 novembre 2021)

Leggi anche:
MedFilm Festival: Mediterraneo fucina di cultura per l’Europa
MedFilm Festival 2020: “un nuovo stare insieme”
Medfilm Festival 2019: ecco la giuria Piuculture