Quasi due matrimoni su cinque in Italia – ben 34 185 nozze nel 2019, ultimo anno di rilevazione dei dati ISTAT – coinvolgono coppie di cui almeno uno dei due partner è straniero. Per oltre il 70% dei casi si tratta di coppie miste, cioè formate da un partner straniero e uno italiano di nascita. Per aiutare e offrire uno spazio di confronto ai membri di unioni miste nel 2015 è nata Aifcom, Associazione Italiana Famiglie e Coppie Miste. Lo scorso 4 dicembre si è tenuto online sulla piattaforma Zoom l’evento di lancio di Aifcom Roma, arricchito da un dibattito sulla realtà di questo fenomeno sempre più consistente.
Coppie miste: il volto rassicurante dell'(im)migrazione
Quello delle coppie miste è uno dei tanti volti di cui si compone l'(im)migrazione, ma è forse uno dei meno evidenti perché non si presta ad essere rappresentato attraverso le tinte fosche dell’emergenza o i toni allarmanti dell’invasione. “Il discorso sulle unioni miste in Italia si riduce spesso a fenomeno di costume”, spiega Maria Eugenia Cadeddu ricercatrice ILIESI CNR “nonostante la sua consistenza numerica e la sua crescita pressoché costante. Alle coppie miste viene associato di frequente anche lo stereotipo romantico e un po’ esotico dell’amore che vince e annulla le differenze culturali. Questo nei fatti finisce per negare le difficoltà quotidiane che molte coppie si trovano a vivere, fatte di pregiudizi etnici, economici e religiosi che spesso ricadono sui figli, penso ad esempio al tema della cittadinanza. Le coppie miste invece andrebbero considerate un luogo di incontro ravvicinato e continuo nel tempo, in cui si mettono in campo modalità comunicative che andrebbero analizzate meglio anche dal punto di vista del plurilinguismo.”
Coppie miste sul lettino dell’analista
Di analizzare e risolvere gli squilibri all’interno delle unioni miste si occupano da anni proprio Carol Djeddah e Natale Losi, che nel 2009 hanno fondato a Roma la scuola di specializzazione in psicoterapia a indirizzo etno-psico-sistemico Etnopsi.
“Spesso vengono da noi componenti di unioni miste che, ad un certo punto della loro relazione, manifestano un disagio non ben localizzato” spiega Carol Losi “È frequente che alla base ci s il mancato riconoscimento e ascolto delle differenze culturali reciproche, un po’ come se si pensasse che la vita in coppia, anche mista, fosse un universale sempre valido in cui le differenze culturali non contano.”
L’approccio etno-sistemico narrativo applicato nella scuola Etnopsi, invece, analizza il disagio emerso attraverso l’analisi di quattro assi/pilastri nella sfera simbolico-relazionale entro cui si veficano le dissimmetrie all’interno della coppia mista o, ancora meglio, “coppia interculturale”:
- rapporto tra i generi;
- rapporto tra le generazioni;
- rapporto tra umili e potenti (rapporti di potere all’interno della coppia, come il fatto di vivere in Italia da autoctoni, il possesso di strumenti, status e poteri diversi e superiori rispetto al partner straniero);
- rapporto tra mondo visibile e invisibile (mondo dei morti).
“Nell’ascoltare il disagio portato da questi partner di coppie miste dobbiamo in un certo senso vestire i panni dell’antropologo, praticando il metodo dell’osservazione partecipata. Ogni coppia mista è infatti un fenomeno che va analizzato nella sua unicità, perché è un qualcosa in perenne transizione sottoposto a continui mutamenti di codici comunicativi. Per questo nelle nostre sedute apriamo anche a famigliari, mediatori e quanti gravitano a vario titolo intorno alla coppia contribuendo a costruirne la storia”.
Pensarsi diversi nell’unione di coppia
Spesso accade che sia il partner straniero della coppia mista ad avvertire per primo, all’inizio quasi impercettibilmente e poi via via in maniera sempre crescente, un certo disagio nel rapporto con il/la compagno/a. Un po’ come è successo a Iula, donna eritrea dal 2008 sposata con un uomo italiano e trasferitasi ben presto in un paese a sud di Roma. “All’inizio della relazione con mio marito non avvertivo alcuna differenza tra noi, non mi sentivo esponente di una coppia mista. Insomma, non mi ritrovavo a pensare a lui come al mio marito italiano e io non pensavo a me stessa come la moglie straniera”, racconta “La sua famiglia e i suoi amici, inoltre, mi hanno fin da subito accolta senza alcun pregiudizio, a differenza di quanto invece accade a molti. Una volta emerso questo disagio mi sono anche molto colpevolizzata, perché mi sentivo un’ingrata: il mio matrimonio procedeva senza problemi apparenti, amavo un marito da cui a mia volta mi sentivo amata. Ma ho capito ad un certo punto che non era possibile far finta di nulla, che ci sarebbe stata sempre una diversità irriducibile tra me e mio marito e il suo ambiente, una differenza che sarebbe stato giusto e sano nominare e riconoscere. Questo non significa necessariamente innescare un conflitto, ma rappresenta un’esigenza di riconoscimento della propria individualità e della propria specifica condizione. Per questo per me è stato veramente importante l’incontro con Aifcom, perché mi ha permesso di confrontarmi e di riconoscermi in una comunità di persone con i miei stessi dubbi, i miei stessi problemi. Tutto questo mi ha fatto sentire meno sola e mi ha consentito di vivere la mia relazione con un rinnovato sforzo e maggiore consapevolezza”.
Silvia Proietti
(16 dicembre 2021)
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