Italiani in Svizzera: Celeste bambina nascosta

“Rimanevo sola tutto il giorno… passavo ore e ore alla finestra… sempre attenta a non farmi scoprire“, racconta Celeste. Figlia di un lavoratore stagionale italiano emigrato in Svizzera, Celeste è stata una “bambina nascosta”, giunta irregolarmente nella Confederazione elvetica e costretta a spiare il mondo dalla finestra. È lei una delle protagoniste di “Celeste, bambina nascosta”, il fumetto scritto da Pierdomenico Bortune e illustrato da Cecilia Bozzoli: il primo ad essere dedicato all’immigrazione italiana in Svizzera dal dopoguerra ad oggi. Quella parte della storia d’Italia e della Confederazione elvetica, infatti, viene raccontata attraverso l’incontro tra l’anziana Celeste e Léane, una giovane di origini italiane, ma nata e cresciuta in Svizzera.

Celeste
Da “Celeste la bambina nascosta” fumetto scritto da Pierdomenico Bortune e illustrato da Cecilia Bozzoli

Italiani in Svizzera: il fumetto un modo per ricordare

Il racconto, in cui personaggi di fantasia si fondono con la memoria e la storia degli autori del fumetto, mescola presente e passato: si rievocano gli orientamenti xenofobi e le iniziative Schwarzenbach degli anni ‘70, senza trascurare l’eco dell’odierna pandemia. L’opera sarà distribuita nelle scuole italiane in Svizzera e nei licei svizzeri in cui si insegna l’italiano. L’intento è quello di farne un mezzo per conoscere una parte fondamentale della storia italiana e riflettere sulle difficoltà dell’integrazione: come ha efficacemente sintetizzato uno degli autori, “il fumetto è un modo leggero per stimolare il ricordo”.

Italiani in Svizzera: dalla precarietà all’integrazione

Allo stesso tema è dedicato “Gli italiani in Svizzera, prima precari e poi inseriti”: l’ultimo rapporto realizzato dal Centro Studi e Ricerche Idos in materia di emigrazione italiana all’estero e pubblicato dalla rivista “Dialoghi Mediterranei”. Il lavoro, infatti, prende in esame l’emigrazione italiana in Svizzera dall’unità d’Italia fino ad oggi e svolge un’analisi sintetica del fenomeno sulla base di dati statistici, ragioni sociali e incidenza dei mutamenti storico-politici sui flussi migratori. L’intento è quello di ricostruire il percorso che ha consentito il passaggio dall’accoglienza temporanea all’avvio di un processo di effettiva integrazione degli italiani nella Confederazione elvetica.

Italiani in Svizzera: dall’800 alla seconda guerra mondiale

Sono circa 5 milioni gli italiani che, dall’Unità d’Italia, sono emigrati in Svizzera.
Il primo impulso all’emigrazione di massa verso il territorio elvetico risale al 1868, con la firma del Trattato di domicilio e consolare tra l’Italia e la Svizzera: in tal modo, ad italiani e svizzeri, viene riconosciuta la libertà reciproca al domicilio e al commercio nel Regno d’Italia e nella Confederazione e, nello specifico, il diritto degli italiani ad “essere ricevuti e trattati, riguardo alle persone e alle proprietà loro, sul medesimo piede e alla medesima maniera come i nazionali”. Tuttavia, fatti salvi gli anni immediatamente successivi al trattato, in cui i migranti erano commercianti ed esercenti altre professioni, l’emigrazione italiana in Svizzera ha riguardato la classe lavoratrice che si sosteneva con il proprio lavoro manuale.
Dall’inizio del ‘900 al 1920, il numero degli espatri dall’Italia verso la Svizzera è stato consistente e ha coinvolto prevalentemente Piemonte, Lombardia e Veneto:
655.668 persone, per il periodo 1901 – 1910;
433.502 persone, per il periodo 1911 – 1920.
A ciò, tuttavia, si è accompagnato un elevato numero di rimpatri.
Nel periodo fascista (1921 – 1940) si riscontra una inversione di tendenza: gli espatri si riducono ad un totale di 85.859 persone per via
• della crisi mondiale;
• dell’indirizzamento dei flussi migratori verso le colonie italiane in Africa;
• della politica migratoria restrittiva adottata dalla Svizzera: nel 1934 viene approvata la prima legge federale sugli stranieri, con cui si ammette il ricorso alla manodopera straniera solo a condizione che ad essa non si accompagni lo stabilimento definitivo dei lavoratori nel territorio elvetico.
Le autorità governative svizzere adottano un atteggiamento di prudenza nelle relazioni con il regime fascista: ciò si traduce inizialmente nella richiesta, rivolta ai rifugiati, di astenersi dall’attività politica – a pena di sanzioni che potevano arrivare all’espulsione – e arriva alla chiusura dei confini elvetici il 3 agosto del 1942.

Italiani in Svizzera: il secondo dopoguerra

Nel secondo dopoguerra gli espatri verso la Svizzera tornano ad essere in crescita: si tratta di
48.808 persone nel 1947;
108.808 persone nel 1948.
A questo raddoppio delle migrazioni dall’Italia verso la Confederazione elvetica ha contribuito l’accordo italo-svizzero del 1948, dedicato al trasferimento di manodopera: con esso si stabiliva il diritto degli italiani a ricevere il medesimo trattamento riservato agli svizzeri in materia di lavoro, retribuzione e tutela previdenziale.
Per quanto riguarda i lavoratori stagionali, l’accordo prevedeva: l’assunzione  in Italia con la firma del contratto di lavoro e, una volta trovato un alloggio, il lavoratore otteneva un permesso di soggiorno come stagionale. Poiché era ammessa la regolarizzazione sul posto per chi, recatosi in Svizzera senza contratto, trovava un datore di lavoro disposto all’assunzione, molti italiani arrivavano in Svizzera come turisti, nella speranza di trovare un impiego al loro arrivo. Dopo aver raggiunto 10 anni di anzianità di servizio era possibile ottenere il permesso di domicilio.
A queste previsioni si accompagnava una serie di restrizioni, quali il divieto di:
– spostarsi nel territorio svizzero;
– cambiare lavoro, anche se era possibile essere licenziati dal datore di lavoro con 24 ore di preavviso;
– portare con sé la famiglia.

Italiani in Svizzera: gli anni ’50 e il nuovo accordo sui flussi migratori

La crescita della presenza italiana in Svizzera prosegue nel periodo 1951 – 1970.
• Nel 1955 si contano 160.000 persone, con un’incidenza del 59% sul totale degli stranieri: si tratta in prevalenza di donne impiegate in agricoltura, nei lavori domestici e nel comparto alimentare;
• nel 1962 si giunge alle 454.000 persone: gli italiani costituiscono la maggior parte della manodopera straniera e una parte importante del proletariato svizzero.
Nel 1964 Italia e Svizzera firmano un nuovo accordo dedicato ai flussi migratori, orientato nel senso di ridurre la temporaneità del soggiorno dei lavoratori italiani. Dopo un soggiorno regolare e ininterrotto per 5 anni era possibile:
• ottenere il rinnovo del permesso di dimora di durata biennale per 2 volte, continuando il lavoro in essere, e il rilascio del permesso di domicilio;
• svolgere un lavoro autonomo o professionale;
• occuparsi in un altro settore, in caso di grave crisi occupazionale nel settore di inserimento.
Per i lavoratori stagionali si prevedeva la possibilità di ottenere, su richiesta, un permesso di dimora non stagionale: a tal fine era necessario aver svolto un’attività per 45 mesi negli ultimi 5 anni e aver trovato un’occupazione annuale nell’ambito della propria professione.

Italiani in Svizzera: minori e ricongiungimenti familiari

Per legge, i lavoratori italiani emigrati in Svizzera non potevano portare con sé i propri figli. L’accordo del 1964 consentiva il ricongiungimento del lavoratore italiano con moglie e figli a 2 condizioni:
• occupazione stabile e durevole del lavoratore;
• disponibilità di un alloggio adeguato.
Con il ricongiungimento, i figli dei lavoratori italiani si collocavano in posizione intermedia tra i genitori emigrati e le nuove generazioni nate direttamente sul posto.
Alcuni lavoratori, pur in assenza delle condizioni per il ricongiungimento familiare, facevano venire i figli in Svizzera in modo irregolare e li trattenevano chiusi in casa per non essere denunciati alla polizia: si tratta di una cifra compresa tra i 10.000 e i 15.000 ragazzi.
In altri casi i genitori lasciavano i figli in apposite case vicino al confine per riuscire a incontrarli con minore difficoltà.
Il sentimento di diffidenza nei confronti degli stranieri, alimentato da un orientamento xenofobo nato in quegli anni, è forte e culmina nella proposta di referendum anti “inforestieramento” avanzata da James Swarzenbach: l’iniziativa mira a ridurre al 10% l’incidenza degli stranieri sulla popolazione residente nel giro di 4 anni. Le votazioni si svolgono nel 1970: la proposta viene respinta, ma ottiene il 46% dei voti favorevoli. Il Governo svizzero, conscio dei sentimenti contrapposti manifestatisi nell’esito del referendum, si orienta verso un’ottica di compromesso tra le posizioni di chiusura e apertura all’accoglienza, iniziando a muoversi nella direzione della di graduale stabilizzazione dei migranti.
È questo lo scenario che fa da sfondo alla storia di Celeste: un passato migratorio almeno centenario che compie i primi passi verso l’integrazione.

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Valeria Frascaro
(11 gennaio 2022)

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