Le voci della comunità ucraina a Santa Sofia

La comunità ucraina a Santa Sofia inizia nel 1963, quando Josyf Slipyj, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, poco dopo il suo ritorno dalla prigionia nel gulag siberiano dove fu trattenuto per 18 anni dal regime sovietico iniziò a raccogliere fondi per costruire una chiesa a Roma per la comunità greco-cattolica ucraina. Hagia Sophia, la chiesa nazionale degli ucraini a Roma, è stata progettata dall’architetto Lucio di Stefano secondo i piani originali per la costruzione della Basilica di Santa Sofia a Kyiv. L’Esarcato è stato istituito da Papa Francesco nel 2019. Dal 2020 il pontefice è monsignore Paulo Dionisio Lachovicz. La Cattedrale dell’Esarcato è la chiesa di San Sergio e Bacco, situata in Piazza Monti.

La rete di solidarietà per l’Ucraina

Nella Basilica di Santa Sofia, a Boccea, è un via vai di auto che portano beni di prima necessità da inviare in Ucraina. Un ampio parcheggio è suddiviso in più aree per gestire il passaggio dei veicoli. Il piazzale antistante la chiesa è stato trasformato in un centro di confezionamento a cielo aperto. Anche alcune aree della struttura vengono utilizzate per lo stoccaggio dei materiali. C’è chi raccoglie i beni consegnati, suddivisi per categoria, chi riempie e chiude pacchi che vengono caricati su camion e furgoni. Ogni giorno dall’inizio della guerra il sagrato è affollato di persone e veicoli, nelle ore di punta è facile vedere un incolonnamento di auto che pazientemente aspettano il proprio turno per contribuire a questa catena di solidarietà. Montagne di scatole e buste invadono ogni angolo. Decine di volontari, in prevalenza ucraini e italiani, ma anche cittadini internazionali, sono andati lì per aiutare. “Abbiamo caricato già 12 camion che e stiamo aspettando di trovarne altri e anche ulteriori autisti” racconta don Marco Semehen, decano della chiesa e referente per le organizzazioni umanitarie.
La Basilica è stata trasformata in un centro di raccolta dei beni di prima necessità, ma anche in un luogo per incontrare concittadini e scambiare messaggi dal territorio in guerra. Qui il popolo ucraino ha trovato il suo luogo per vivere collettivamente il dolore, alcuni piangono, altri si abbracciano a volte scappa anche una risata, ma soprattutto si lavora tutti insieme con cooperazione ed energia.

Le voci ucraine

Mio padre non può lasciare l’Ucraina”, racconta Daryna una ragazza di 31 anni, “ha 57 anni e quindi è ancora in età per essere arruolato. Sono molto preoccupata per lui e temo per la sua vita perché vive a Kyiv, vorrei che venisse via lì ma lui è un uomo ligio al suo dovere e non lascerebbe mai la sua casa”.
Poco più avanti un uomo solleva sei pacchi alla volta, ha il volto sudato e arrossato ma non si ferma un momento, si chiama Mykhaylo ed ha 36 anni. Mykhaylo non tornerà in Ucraina come invece hanno fatto numerosi connazionali perché ha tre bambini piccoli e sua moglie, Vira, ha paura, per lui però è indispensabile rendersi utile come può, dare sostegno al suo Paese sentirsi parte della comunità. Yulia è una ragazza di 22 anni, “Studio a La Sapienza e sono per metà ucraina. Vengo alla Basilica di Santa Sofia quando posso” spiega mentre aiuta ad aprire e dividere tutti i pacchi che vengono portati dalle associazioni e da cittadini privati. A Kyiv ha gli zii e i cugini che non sono potuti partire poiché, Oleh il cugino più grande ha compiuto 18 anni e pertanto non può lasciare il paese. Vivono in un bunker e chiamano casa ogni giorno. “Il momento della chiamata serale è, da due settimane, il momento più temuto e più gioioso” spiega Yulia, che ogni giorno spera di non ricevere notizie terribili. Maria e Luba sono due sorelle che sono riuscite a raggiungere in Italia la loro mamma, Maryna, con lei vivono a casa della persona presso cui Maryna lavora. Sono incerte sul futuro e sulla loro vita, hanno paura, hanno visto la morte e la distruzione.
Oleksandr è un uomo di 78 anni, vive in Italia da quando ne aveva 15, parla meglio l’italiano dell’ucraino ma il suo orgoglio e sentimento di affetto per la sua patria natale non si è mai spento. Ha le mani grandi e rovinate di chi ha passato una vita a lavorare duramente, ha lo sguardo triste e il passo lento, ma è in prima fila e fa ciò che può per essere utile. “Non pensavo che avrei mai dovuto assistere ad uno scenario tanto doloroso, soffro per il popolo ucraino, per le vite spezzate e i luoghi distrutti che nessuno ci restituirà” spiega Oleksandr con gli occhi lucidi e la voce incerta.
Kateryna, invece, è in ansia per il nipote che dalla Germania è rientrato nel suo Paese per combattere l’esercito russo: “Ha deciso di andare a difendere l’Ucraina” spiega tra le lacrime, con una punta di orgoglio “quella è la nostra terra, la nostra libertà e non possiamo accettare che un pazzo devasti tutto”.

Elisa Galli
(9 marzo 2022)

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