Lipa: il Centro lungo la rotta Balcanica lontano dagli occhi dell’Europa

Lipa e la sua città più prossima Bihac, a sedici chilometri dal confine arrivando in Bosnia Erzegovina dalla Croazia, sono state al centro delle cronache dal 2018 per essere uno dei punti di partenza, lungo la rotta Balcanica, per accedere alla fortezza Europa.

Il campo di Lipa
Lipa: Temporary Reception Center (foto Edoardo Del Bello)

Lipa: un Temporary Reception Center nel nulla

Procedendo verso sud a poco più di venti chilometri da Bihac si lascia la strada principale e si comincia a salire verso l’altipiano. Tornante dopo tornante si percorrono circa due chilometri e si arriva a 700 metri di altitudine, in mezzo al nulla, in una spianata dove la strada non più asfaltata, grigio chiaro, polverosa, è un tutt’uno con i container di metallo allineati su più file circondati da asfalto. Il tutto è incluso in un avvallamento delimitato da una alta rete, che contiene anche uffici, infermeria e varie strutture. Non un filo d’ombra, un albero, il tutto acceca sotto il sole cocente, in un caldo pesante: è il Temporary Reception Center di Lipa.
Le reti, i cartelli che invitano a non fotografare, la guardiola di accesso dove chi entra dal mondo e chi esce dal campo consegna i documenti, danno l’idea di un’area dove non si è liberi, dove bisogna rispettare  delle stringenti regole di accesso, dove non si può interloquire con gli ospiti durante la visita se non nello spazio riservato alle attività, dove ci si muove in gruppo e non ci si deve allontanare dai compagni di viaggio, amministratori e associazioni del terzo settore, portati fin qui dal Coordinamento provinciale degli enti locali per la pace e la cooperazione internazionale di Brescia, in collaborazione con RIVolti ai Balcani.
L’effetto è straniante. La strada di accesso in discesa conduce alla mensa e poco distante alla cucina destinata a chi desideri prepararsi il cibo da solo: un insieme di braceri in grandi contenitori cilindrici di metallo, sotto un’alta tettoia. É un’occasione per preparare autonomamente un pasto con la spesa fatta a caro prezzo nello spaccio appena fuori dal campo o con un pacco che contiene pollo, patate, cipolle, aglio, olio e quanto serva a cucinare. La materia prima si può prenotare il lunedì alle 11.30, una volta ogni due settimane, nel piccolo ufficio che IPSIA e Caritas hanno nel campo. Mentre ogni giorno alle 11 si può passare, nello stesso container, a bere un caffè o una tazza di tè. Nello spazio a fianco si ha un tipo di supporto diverso, pubblicizzato dalla frase “Not all wounds are visible”, Non tutte le ferite sono visibili.
In fondo al campo c’è la lavanderia dove si lasciano gli indumenti che vengono riconsegnati nei giorni successivi, qualche stendino, qua e là fuori dai container, loculi infuocati con 3 letti a castello sotto il sole estivo. Boubacar senegalese, tutti i nomi sono di fantasia, ha appena consegnato la biancheria da lavare, ma indugia nel andar via, non vuole perdere l’occasione di uno scambio. Poco più avanti uno spazio ampio è destinato alla preghiera.

Il market di Lipa

Lipa: l’emergenza è superata

Nell’aria rarefatta solo uomini, giovani e giovanissimi, compiono riti quotidiani sempre uguali. Sono gli attuali ospiti del campo, non arrivano a 400, in una struttura preposta a ospitare 1500 persone inclusa una parte separata dedicata alle famiglie e una ai MSNA, entrambe vuote, perché i nuclei famigliari e i giovanissimi sotto i 18 anni hanno trovato collocazione in strutture meno isolate. L’emergenza se si guarda ai dati è superata, anche se nei primi quattro mesi del 2022 la strada più battuta di accesso all’Europa è stata la rotta Balcanica Occidentale che ha rappresentato quasi la metà di tutti i valichi di frontiera illegali con 27.172 attraversamenti (dati Frontex). Un aumento del 130% rispetto allo scorso anno, si tratta  prevalentemente di Siriani, Afghani e Turchi che provano a entrare in Europa, ma sempre meno dalla Bosnia Erzegovina. Nella zona di Lipa le presenze sono via via più contenute come dimostrano i numeri del campo. Infatti dopo un sostanziale aumento degli arrivi che sono stati più di 85.000 dal 2018 alla fine del 2021, le autorità della Bosnia-Erzegovina hanno registrato domande di asilo via via decrescenti: 1572 nel 2018, 785 nel 2019, nel 2020 sono state 245, riducendosi di un terzo e hanno avuto un ulteriore decremento del 32% nel 2021, quando sono state presentate 167 domande di asilo(dati UNHCR).

Partita di volano
Partita di volano(foto Katia Bresadola)

Lipa: se questo è un uomo

Mohamed si avvicina, arriva dal Pakistan, ha provato due volte il Game senza successo, chiede, in inglese, i nomi di quegli ospiti inattesi, saluta giungendo le mani in segno di pace.
Vicino all’uscita del campo c’è l’ampio locale coperto dedicato alle attività, è stato inaugurato nel maggio 2022, i ragazzi si raccolgono qui, l’unico spazio nel quale hanno accesso dove il caldo sia mitigato dall’aria condizionata. Nello spiazzo antistante all’entrata due giovani afghani giocano a volano e Agostino e Cristina raccolgono la sfida, pochi minuti di normalità come in una corte tra i palazzi di qualsiasi città del mondo. L’impressione, ma probabilmente è solo un’impressione, è che i giovani afghani sembrino i più “a loro agio” in questa situazione surreale, gli africani i più provati, alcuni hanno occhi vacui, lontani. Diversi non ce l’hanno fatta a “vincere” il Game: Hamidou, del Burkina Faso, ha tentato tre volte, Josef del Camerun “ho provato a entrare in Croazia per due volte” spiega, mentre osserva tre giovani pakistani che utilizzano la loro sapienza alla macchina da cucire.
Dal Game tornano con ferite dovute al cammino nella natura impervia che attraversano per entrare nella UE o per le violenze della polizia che soprattutto in territorio croato ostacola l’accesso e respinge fuori dai confini europei.
Morteza, afghano, si dà da fare a ricomporre un puzzle, ha provato due volte il Game, il suo obiettivo è la Germania “perché lì c’è lavoro”.
È incredibile pensare che mentre nell’agosto 2021 la comunità internazionale si mobilitava per mettere in salvo gli Afghani che cercavano vie di fuga dai talebani all’aeroporto di Kabul, non faccia nulla per accogliere i rifugiati afghani che transitano in Bosnia per entrare nella UE.
A Lipa hanno trovato posto anche i primi cubani, alcuni sono omosessuali che lasciano l’isola caraibica poco tollerante nei confronti degli appartenenti alla comunità LGBTQI+ e, paradosso, arrivano in Europa con un volo, con regolare visto, per la Russia certamente non un paese gay friendly. In Bosnia Erzegovina entrano dalla Serbia, anche loro hanno come obiettivo di raggiugere un paese UE dove vivere senza subire discriminazioni.
Senz’altro oggi nel campo di Lipa, gestito dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM, agenzia collegata alle Nazioni Unite) e finanziato in larga misura dalla UE e dai governi di alcuni paesi europei, Italia inclusa, le condizioni di vita sono migliorate rispetto al primo campo tendato distrutto dall’incendio del 23 dicembre 2020. Sono garantiti i servizi essenziali, anche se il rapporto sull’area balcanica di Border Violence Monitoring Network del 26 luglio 2022 denuncia che a partire dal 28 giugno l’acqua non è stata disponibile per diversi giorni. L’unica acqua per bere e per lavarsi è stata fornita da un camion cisterna, acqua razionata quindi, non si poteva fare la doccia, né sciacquare i servizi igienici, un disagio pesante visto il caldo torrido di inizio luglio. Ma cosa anche più grave il rapporto denuncia un clima di intimidazione e punizione, nel campo, imposto dai funzionari di polizia.  

due ragazzi che parlano
Due ospiti del centro di Lipa(foto Valentina Costa)

Dopo Lipa dove si va?

Chi sono i ragazzi di Lipa? Giovani che hanno lasciato le loro case, le famiglie, il paese dove sono nati perché impossibilitati a vivere a causa di guerre, dittature, cambiamenti climatici.
Che prospettive hanno? Di essere rimandati a casa gratuitamente attraverso i rimpatri volontari assistiti gestiti dall’OIM. Mentre sono lontane le possibilità di inclusione o le prospettive che le richieste di protezione vengano accolte, in media la domanda di asilo ottiene risposta in oltre due anni
Il campo di Lipa è la manifestazione evidente delle politiche migratorie europee che tendono a tenere i migranti lontani dagli occhi, fuori dai propri confini, a respingerli anche con la violenza e senza rispettare i diritti.
Giovani nel pieno delle forze ridotti a far passare il tempo, a temperature sotto zero l’inverno e con un caldo torrido d’estate, in uno spazio isolato dal mondo dove il primo centro è raggiungibile a piedi in minimo 4 ore di cammino. Non stupisce che molti preferiscano rimanere fuori dal campo, soprattutto quando le condizioni climatiche non sono proibitive, occupano edifici fatiscenti, abbandonati, ma sono più vicini ai centri abitati, liberi nei movimenti e nell’organizzare il Game.
Il cibo da cucinare, il caffè, lo spazio per le attività, la presenza dei volontari con i quali svolgere giochi, compilare documenti rendono alcune ore della giornata degli abitanti di Lipa quasi umane. Ma è l’accumularsi del tempo di attesa, la mancanza di prospettive, la condizione, pressoché, di reclusione a rendere il tutto difficile da accettare per chi lo vive ed è inaccettabile per chi vi approdi da una vita normale.

Nicoletta del Pesco
(29 luglio 2022)

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