Dall’inizio dell’anno sono morti nel pezzo di Mediterraneo che unisce l’Africa all’Italia 1.088 migranti: è questa la cifra che arriva dalla Fondazione ISMU aggiornata al 25 settembre. Circa 70.000 persone nello stesso periodo hanno raggiunto l’Italia seguendo la stessa rotta, che i dati indicano come la via più pericolosa per arrivare in Europa.
Nel frattempo sulla terraferma dalle elezioni del 25 settembre è uscito vincitore il partito di Fratelli d’Italia che in campagna elettorale ha proposto, per poi ritrattare, un blocco navale come soluzione all’immigrazione clandestina. La misura non è praticabile, ma una sorta di blocco navale, seppur di diversa natura, per le ONG che effettuano soccorsi in mare esiste già.
“Con fasi alterne negli anni degli ultimi due Governi che si sono succeduti, Conte bis e Draghi, le imbarcazioni impegnate nelle operazioni di soccorso in mare vengono sottoposte a scrupolose ispezioni, non riservate ad altre navi”. Ad accendere i riflettori sul tema è Veronica Alfonsi, presidente di OpenArms Italia. “Durano anche 15 e 16 ore e sono finalizzate a individuare deficienze tecniche che portano a blocchi amministrativi“.
Il “blocco navale” nel Mediterraneo, dove i morti sono già quasi 1.100
Le ispezioni, di routine o a sorpresa, vengono effettuate dalla Guardia Costiera. E la più recente, lo scorso 21 settembre, è toccata a una nave dell’organizzazione Sea Watch che ha soccorso 428 persone. “Dopo le operazioni di sbarco nel porto di Reggio Calabria è salito a bordo un nucleo della Guardia Costiera per una ispezione di circa 13 ore che ha fatto seguito a una precedente ispezione effettuata ad agosto a Taranto”, racconta Alberto Mallardo, responsabile delle operazioni della ONG. “Prima operavamo con navi anche più vecchie, ma non erano previsti tutti questi controlli”.
Si tratta a tutti gli effetti di un escamotage per rendere l’operatività più difficile. “Di solito le deficiencies, come si dice in gergo, che riscontrano si possono racchiudere in due macrocategorie, questioni tecniche che sono facilmente risolvibili, e carenze politiche, ovvero si evidenzia che vengono soccorse più persone rispetto alla capienza indicata nella certificazione di stabilità della nave”.
Spesso le necessità che si hanno difronte impongono di superare la cifra massima, ma senza mettere a repentaglio la sicurezza: “Noi ci rivolgiamo a ingegneri specializzati per sapere qual è il numero effettivo di persone che possiamo avere a bordo senza compromette la stabilità della nave ed è sempre ben più alto rispetto al certificato”. La questione suona come un paradosso se si considera lo scopo con cui operano le navi umanitarie e le situazioni di emergenza che si trovano a fronteggiare dove un minuto di più può essere fatale.
“Cosa bisogna fare quando ci si trova difronte a situazioni di pericolo di vita? Lo chiederemo con un appello al tribunale di Reggio Calabria”, dice Albero Mallardo. E in realtà una risposta c’è: la legge non scritta della navigazione impone il dovere di soccorso, ma si trova a fare i conti con la normativa dei singoli Stati.
La Corte di Giustizia Europea si è espressa sul punto lo scorso agosto: “Le navi di organizzazioni umanitarie che conducono un’attività sistematica di ricerca e soccorso di persone in mare possono essere sottoposte a controlli da parte dello Stato di approdo. Tuttavia, lo Stato di approdo può adottare provvedimenti di fermo soltanto in caso di evidente pericolo per la sicurezza, la salute o l’ambiente, il che spetta allo Stato di approdo dimostrare”, si legge nella comunicato stampa del 1° agosto 2022.
Ed è proprio con la “scusa della sicurezza” che, secondo Alberto Mallardo, le autorità italiane giustificano i controlli.
Intanto dal 21 settembre la nave è ferma e lo sarà ancora per diverse settimane, difficili da quantificare. Nel monitoraggio di SeaWatch, si contano 16 fermi amministrativi delle navi umanitarie a partire da settembre 2019 per un totale di 1.199 giorni. Tra sospensione delle attività e cantiere di cui la nave ha bisogno dopo uno stop dalla navigazione passano anche uno o due mesi.
Nel Mediterraneo già quasi 1.100 i morti: com’è cambiato il mare negli ultimi anni
Questa prassi si inserisce in un contesto mediterraneo che dal 2018 in poi è diventato sempre più pieno di ostacoli per le ONG di soccorso. La Marina Militare che negli anni precedenti aveva avuto un ruolo centrale, onorando la legge del mare per cui nessuno si lascia morire in acqua, ha ritirato i remi in barca.
“Le navi umanitarie sono sole, non c’è più un coordinamento e non riceviamo nessuna coordinata per effettuare i soccorsi. Veniamo solitamente informati da Alarm Phone e a nostra volta poi informiamo le autorità italiane per ottenere un porto di sbarco“, spiega Veronica Alfonsi di Open Arms. L’attesa media va dagli 8 ai 10 giorni: “Nell’ultima operazione avevamo 402 persone a bordo recuperate con 4 operazioni di soccorso, abbiamo aspettato a lungo e sulla nostra nave c’erano circa 60 bambini, anche molto piccoli”.
Per equipaggio e migranti soccorsi diventa interminabile l’attesa per trovare un porto per lo sbarco, il cosiddetto luogo sicuro previsto dalla Convenzione SAR del 1974.
La Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare del 1979 (Convenzione SAR) obbliga gli Stati parte a “…garantire che sia prestata assistenza ad ogni persona in pericolo in mare… senza distinzioni relative alla nazionalità o allo status di tale persona o alle circostanze nelle quali tale persona viene trovata” e a “ […] fornirle le prime cure mediche o di altro genere ed a trasferirla in un luogo sicuro”.
Il tratto di Mar Mediterraneo, che separa il Nord Africa dall’Italia, si fa via via sempre più ostile per i migranti, ma non frena le partenze: il risultato è che dal 2014 ad oggi in questo tratto di mare sono morte 25.000 persone.
La soluzione proposta dal primo partito italiano, secondo quanto emerso dalle elezioni del 25 settembre 2022, è un blocco navale. Nel programma si legge:
Difesa dei confini nazionali ed europei come previsto dal Trattato di Schengen e richiesto dall’Ue, con controllo delle frontiere e blocco degli sbarchi per fermare, in accordo con le autorità del Nord Africa, la tratta degli esseri umani; creazione di hot-spot nei territori extra-europei, gestiti dall’Ue, per valutare le richieste d’asilo e distribuzione equa solo degli aventi diritto nei 27 Paesi membri (c.d. blocco navale). […] Contrasto alle attività delle Ong che favoriscono l’immigrazione clandestina. Massima intransigenza contro ogni forma di antisemitismo, razzismo e integralismo islamico.
Ma, oltre ad essere contro ogni diritto umano, il blocco navale è attuabile solo in un contesto di guerra. E sul tema, infatti, la stessa Giorgia Meloni e altri esponenti del partito durante le interviste sul tema hanno ritrattato: è un’espressione di sintesi, si parla di un ripristino dell’Operazione UE EUNAVFOR MED Sophia per la politica di sicurezza e difesa comune che nasceva, appunto, per individuare, fermare ed eliminare imbarcazioni e mezzi usati o sospettati di essere usati dai trafficanti nel Mediterraneo centromeridionale.
Quale futuro per il Mediterraneo
Ma il percorso di chiusura delle acque non è una novità assoluta, come confermano le ONG, è cominciato nel 2015 con la fine dell’operazione Mare Nostrum e il passaggio ad operazioni sempre meno di soccorso e sempre più di contrasto ai trafficanti in linea anche con le operazioni UE.
Si è passati a Triton e poi a Themi e Sophia, la prima resta ancora oggi in vigore e la seconda si è conclusa nel 2020.
Accanto a questo, poi, si è aggiunto il passaggio di testimone come punto di riferimento in mare dalla Guardia Costiera italiana a quella Libica. “Gli ultimi governi non hanno fatto altro che riempire di denaro, sostenere persone che picchiano, sparano, respingono i migranti in mare. E la preoccupazione maggiore, che è quasi una convinzione, è che si continui su questa linea”, sottolinea Veronica Alfonsi.
“Siamo abbastanza preoccupati, ma dobbiamo vedere ora qual è la strategia, quello che succedere ma soprattutto quale sarà la composizione del Governo e la distribuzione dei Ministeri”. Sulla difficoltà di fare previsioni è d’accordo anche Alberto Mallardo di Sea Watch, ma “l’eredità che viene lasciata dagli ultimi anni è chiara: gli ostacoli alle attività dei civili ci sono e sono stati efficaci. E c’è una totale assenza di autorità e di mezzi”.
Il pericolo che l’accesso all’Europa diventi sempre più difficile è concreto e un sistema pensato per bloccare le navi di soccorso che operano nel Mediterraneo è già realtà ma “a prescindere dal trattamento delle ONG, che negli ultimi mesi hanno soccorso solo il 15 per cento delle persone arrivate, c’è una sfida da affrontare sul rispetto dei diritti umani“, conclude Mallardo.
“Le persone continuano ad arrivare autonomamente con flussi sempre più significativi, ad esempio dalla Turchia verso la Calabria”. D’altronde, parafrasando Lucio Dalla, il mare “non lo puoi bloccare, non lo puoi recintare”.
Rosy D’Elia
(3 ottobre 2022)
Leggi anche
- ONG in mare: le organizzazioni nel risiko del Mediterraneo
- Frontex avrà 10.000 uomini: come cambia il Mediterraneo
- Open Arms scagionata: il commento del Capitano Gatti