“Il 2 novembre segna il rinnovo del Memorandum d’Intesa tra Italia e Libia”, ricorda Laura Silvia Battaglia nell’introdurre l’incontro Libia tra ingovernabilità, violazione dei diritti umanitari e violenza, promosso da Medici Senza Frontiere l’11 novembre 2022.
Il dibattito – con Claudia Gazzini, senior analyst per la Libia dell’International Crisis Group, al ricercatore Matteo De Bellis per Amensty International e a Michele Telaro, capomissione di Medici Senza Frontiere in Libia – è stato capace di offrire un quadro completo delle relazioni intrattenute dalla Libia con altri paesi, tra i quali l’Italia, dei centri di detenzione e delle violenze alle quali sono sottoposte le persone che vivono – in fini migratori – sul suolo libico. Un quadro composto dalle testimonianze di chi ha vissuto o opera direttamente nel Paese.
Libia: il caos di un paese frammentato
Attualmente in Libia, vi sono due governi paralleli: Abdel Hamid Dbeibah, il primo ministro in carica a Tripoli che controlla l’ovest libico e ad est, l’ex-ministro dell’Interno Fathi Bashagha, che si prepara a fare il suo giuramento dopo aver ottenuto la fiducia al Parlamento di Tobruk.
Claudia Gazzini ha chiarito che è possibile fare un quadro più chiaro della situazione del paese “solo se si comprende chi controlla cosa in Libia, perché il Paese è nel caos” e ha spiegato che “Dire che la Libia sia divisa in due è una iper-semplificazione della realtà, in quanto esistono tante fazioni quante i sei milioni di abitanti del paese”. La situazione libica appare quindi, non chiara agli occhi degli esperti. E la crisi politica ha avuto grandi ripercussioni sulla popolazione, in particolar modo sui i giovani libici in ambito lavorativo.
Libia e violenze: le testimonianze nei centri di detenzione
Rispetto alla questione della violazione dei diritti umani, i dati della Libia restano preoccupanti. Medici Senza Frontiere sostiene che non sia un luogo sicuro dove far sbarcare le persone soccorse in mare: solamente negli ultimi quattro anni, la guardia costiera libica ha intercettato e riportato con la forza nel paese oltre 50.000 persone, destinate poi ai centri di detenzione. In questi luoghi, i migranti vivono in una condizione disumana con violenze e maltrattamenti quotidiani. “Abbiamo assistito ad omicidi, situazioni di sfruttamento e tutto questo avviene nei luoghi dove le persone vengono trasferite subito dopo il loro sbarco in Libia” ha raccontato Matteo De Bellis “I pericoli esistono dentro e fuori questi centri di detenzione, ma i volti sofferenti di chi abbiamo incontrato sono stati sufficienti per farci affermare con grande forza e certezza che i porti libici non possono rappresentare un luogo di sbarco sicuro”.
Secondo Michele Telaro “Nei centri di detenzione la situazione è drammatica. Ci sono grandi stanze senza letti, per cui la gente è costretta a dormire ammassata per terra. Gli hangar sono senza finestre e si ha la possibilità di uscire una sola volta a settimana. Si vive per mesi, anni senza vedere la luce del sole”.
Parte della responsabilità di tale situazione è da addebitare al governo italiano. De Bellis, nel suo discorso, ricorda che “tra il 2008 e 2009 l’Italia aveva inaugurato una fase di respingimenti dei richiedenti asilo che provavano a partire dalle coste libiche verso l’Europa. Nel 2012, la misura venne messa al vaglio della Corte europea dei Diritti dell’Uomo, che la condannò. Da quel momento in poi, per evitare ulteriori sanzioni della Corte, il “lavoro sporco” è stato lasciato alle forze libiche”.
Libia e Italia: accordo tacitamente rinnovato
Il rinnovo dell’accordo tra Italia e Libia del 2 novembre, fa presagire altri tre anni di torture e violazione dei diritti che continuano ad essere inflitte ogni giorno ai migranti. L’Italia ha acconsentito il respingimento di 50.000 persone – solo 12.000 nel 2020 – senza fermare le morti in mare. Sono tante le ONG che chiedono l’annullamento di tale patto, senza contare che da anni la Libia non sta rilasciando visti per le organizzazioni umanitarie di conseguenza “il non poter essere in Libia per coordinare direttamente il lavoro rende più farraginosa la gestione delle attività e inoltre in alcune situazioni la presenza di personale straniero potrebbe facilitare la risoluzione dei problemi” ha affermato Michele Telaro di Medici Senza Frontiere.
La situazione in Libia resta motivo di preoccupazione per gli esperti. La speranza risiede in un cambiamento di rotta da parte del governo italiano e nella possibilità delle organizzazioni internazionali di ribaltare le mostruose condizioni di vita di queste persone: uomini, donne e bambini che non vogliono altro che un paese dove ricominciare a vivere.
Giulia Fuselli
(15 novembre 2022)
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