Rapporto Astalli: «Capitalizzare l’esperienza ucraina»

«L’esperienza della crisi in Ucraina non è bastata a fare una riflessione profonda su accoglienza e integrazione dei rifugiati». Così si legge nel rapporto annuale 2023 del Centro Astalli, presentato il 13 aprile al Teatro Argentina a Roma. La sede italiana del servizio dei Gesuiti per i rifugiati da ventidue anni pubblica un rapporto sulle condizioni di richiedenti asilo e rifugiati che si rivolgono al Centro.

E a rendere significativa la pubblicazione dell’ultimo rapporto, è proprio il fatto che la
presentazione si è tenuta a pochi giorni dalla decisione del Consiglio dei ministri di dichiarare lo stato di emergenza per il forte incremento dei flussi di migranti dal Mediterraneo previsto per i prossimi mesi. Ma secondo il presidente del Centro Astalli Padre Camillo Ripamonti, le previsioni del governo italiano sui flussi dei prossimi mesi «non sono numeri nuovi». E anzi, in questo senso il rapporto del 2023 si presenta proprio come «commento e risposta a questa misura». Anche il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, nel suo intervento ha parlato della necessità di «uscire dalla logica dell’emergenza».

Il rapporto annuale del Centro Astalli parte dal dato globale complessivo di “migranti forzati”, cioè di coloro che lasciano il paese d’origine non per libera scelta. Infatti, nel 2022 è stata superata la soglia del 100 milioni, e secondo Ripamonti è partendo da questo numero che «non possiamo limitarci a parlare di guerra al singolare». Non solo il conflitto in Ucraina quindi, ma anche tragedie che nei mesi scorsi sono state spesso trascurate dai media italiani, come la guerra in Yemen. Un dato complessivo che si riflette anche in quanto emerge dal rapporto: nella sola Roma il centro Astalli offre infatti la mensa a circa 10mila rifugiati, tra cui sono state rilevate ben sessanta nazionalità diverse.

Questo è il tema che ricorre anche nelle due testimonianze che hanno aperto la presentazione. Barry, oggi in co-housing al centro Astalli con studenti italiani e rifugiati, è un ragazzo di ventisette anni proveniente dalla Sierra Leone. Barry ha lasciato il paese di origine a vent’anni, e ha vissuto come profugo in Mali e in Niger. Questo prima di riuscire ad arrivare in Libia, da dove per settimane ha vissuto in un campo di detenzione. Da lì finalmente il viaggio della speranza verso l’Italia, durante il quale ha perso il compagno di viaggio Ismael, vittima di un naufragio.

Hamed invece è uno studente afghano di 24 anni, sfuggito ai talebani perché il padre era un funzionario del governo di Kabul e aveva contatti a Roma. «Non ho più la mia tesi universitaria. Mancavano soltanto 30 pagine e mi sarei laureato in economia. Non ho più i documenti, il mio diploma. Nulla».

Ma anche una volta accolti in Italia, Barry e Hamed si trovano ad affrontare come molti altri
rifugiati i troppi ostacoli all’integrazione nel paese. Ostacoli prima di tutto legali: stando ai dati forniti dal rapporto, circa un terzo delle persone che accedono alla mensa del Centro Astalli ha un permesso di soggiorno in via di definizione. Questo avviene per problemi burocratici come la carenza di personale nelle questure, o per l’inasprimento della normativa con l’introduzione dei decreti sicurezza del 2018. Ma anche per la precarietà dei posti di lavoro: sono molti, infatti, coloro che perdendo l’occupazione non riescono a convertire il proprio permesso di soggiorno: una situazione che si è aggravata nei due anni che hanno seguito la crisi pandemica. Proprio per questo, secondo il presidente della Fondazione, «è necessaria una riflessione sul mondo del lavoro, non solo sui migranti ma in generale per tutti».

Secondo i dati presentati nel rapporto annuale, a fine 2022 il sistema di accoglienza nazionale ha registrato un totale di presenze pari a quasi 108mila persone. Nella maggior parte dei casi, i posti vengono offerti da centri di accoglienza straordinaria che non sempre riescono a «garantire i servizi essenziali nei percorsi di accompagnamento». Il Centro Astalli lo scorso anno ha gestito circa l’1% del numero complessivo di rifugiati registrato in Italia nel 2022. Stando al Rapporto della Fondazione e come sottolineato dal presidente Ripamonti, a Roma ben il 50 % circa delle persone accolte nelle strutture messe a disposizione dal centro presenta vulnerabilità fisiche o psicologiche. Un dato drammatico, che evidenza la necessità di riorganizzare il sistema di accoglienza italiano.

Nel 2022, l’esperienza della crisi in Ucraina ha fornito la prospettiva di un sistema di accoglienza diverso e più inclusivo. Un sistema che ha visto anche il coinvolgimento delle singole famiglie, che spesso si sono offerte di accogliere temporaneamente le vittime dell’invasione russa. Proprio secondo il presidente del Centro Astalli, l’Italia deve ora «capitalizzare questa esperienza». Ma per fare questo «bisogna sistematizzare con continuità le vie legali di ingresso, senza delegare il compito alla società civile».

Scarica il rapporto annuale 2023 del Centro Astalli

Carlo Comensoli
(14 aprile 2023)

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