Sbarchi e morti nel Mediterraneo: tutti i numeri sono uguali?

I primi quattro mesi del 2023 hanno visto un incremento del 300% degli sbarchi in Italia, purtroppo non sono gli unici dati che dovrebbero preoccupare. Infatti, ci sono molti morti e dispersi nel Mediterraneo ai quali si fa meno caso.

Le testimonianze: Daby e Ibrahim

Pensando al viaggio che in tantissimi decidono di affrontare attraverso il continente africano e il Mar Mediterraneo, spesso non ci si focalizza sugli aspetti umani che caratterizzano questi vissuti. Non si tratta solo di individuare le cause, il contesto o le difficoltà del viaggio. Un elemento che vale la pena analizzare è il distacco emotivo che vivono coloro che lasciano amici, famiglia o compagni di viaggio in un allontanamento che la maggior parte delle volte dura anni. In una società come quella occidentale, fortemente digitalizzata, il concetto del feedback pervade ogni vissuto, incluso quello degli spostamenti. Invero, quando capita di viaggiare diventa di fondamentale importanza dare un segnale ai propri cari per avvisarli di ogni avvenimento. Sono centinaia di migliaia, invece, i giovani che per lungo tempo non possono mantenere i contatti con chi hanno lasciato alla partenza.

Celebrazione indipendenza del Sud Sudan; Juba, Sudan. UN Photo/Paul Banks da Flickr

Daby ha 22 anni e 6 anni fa, nel 2017, per primo della famiglia lasciava il Mali. Era ancora un bambino quando decise di partire e il viaggio per lui è stato particolarmente difficile: ci sono voluti quattro anni per arrivare dal suo paese di origine all’Italia. L’unica persona che ha lasciato in Mali è sua madre che non ha sentito durante lunghissimi periodi durante il viaggio; non ha mai conosciuto il padre. Nel suo caso, la mancanza di contatto è stata una scelta presa consapevolmente: «Il viaggio per noi uomini non è facile perché siamo maggiormente esposti ad ogni forma di violenza: tra uomo ed uomo non c’è emozione. Queste difficoltà mi mettevano a dura prova per cui ho deciso di non chiamare mia mamma, perché se ci avessi parlato avrei ceduto e sarei tornato in Mali.

Quando i miei amici mi hanno prestato il telefono l’ho contatta per dirle che stavo bene, anche se mai è stato veramente così. La prima volta che l’ho chiamata lei era veramente felice, tanto da organizzare una festa con tutti i suoi vicini. Penso che aspettare notizie di qualcuno che non sai se è ancora vivo fa davvero paura. Per questo motivo, con gli amici conosciuti in Libia prima di imbarcarci abbiamo tutti creato un account su Facebook stringendo amicizia. Solo così, al nostro arrivo potevamo mantenere i contatti. Fortunatamente del nostro gruppo siamo arrivati tutti sani e salvi, ma non tutti ci riescono».

Ibrahim è arrivato in Sicilia il 24 giugno 2016. Il suo viaggio dal Mali è durato tre mesi, durante i quali ha provato a cercare lavoro in Algeria e poi, dopo essersi spostato in Libia, è stato imprigionato e torturato. In Mali ha dovuto lasciare la moglie incinta e non è potuto essere presente alla nascita di sua figlia: l’anno prima, infatti, dopo l’uccisione del padre ha iniziato a temere per la sua incolumità e ha deciso così di allontanarsi dal suo paese di origine. Durante il viaggio non gli è stato possibile contattare la moglie con la figlia appena nata e, anche dopo lo sbarco, ci sono volute due settimane di costanti tentativi per trovarle. Infatti, aveva perso tutti i contatti; gli rimaneva solo il numero di un amico che viveva ancora nel paese vicino al suo che, una volta contattato, è andato a comunicare a sua volta la notizia alla moglie. «Per lei è stato orribile – racconta con voce spezzata Ibrahim – perché ogni volta che sentiva di qualche morte in mare o in deserto temeva il peggio. Io ho provato a dirle di rinunciare a me, trovando qualcuno che la potesse aiutare a crescere nostra figlia ma lei ha voluto aspettarmi sino alla fine. Ora ci sentiamo tutti i giorni ma è davvero difficile perché mia figlia per tanti anni non mi ha riconosciuto. Nel 2021, appena ottenuto il permesso di soggiorno, l’andai a trovare e lei continuva a chiedere chi fossi. Solo oggi, finalmente, quando facciamo le videochiamate mi chiama papà. E’ bellissimo.»

Governo Meloni e gli sbarchi al 300%

I primi quattro mesi del 2023 stanno dimostrando quanto i numeri degli sbarchi in Italia stiano di nuovo aumentando. Nello specifico «nel 2012 gli arrivi furono relativamente pochi, con circa 13mila persone che raggiunsero l’Italia con viaggi non autorizzati via mare. Tra il 2013 e il 2014, poi, con l’aggravarsi della guerra in Siria e l’acuirsi di conflitti, guerre, carestie, instabilità politica ed economica in numerosi paesi africani, l’Europa e l’Italia in particolare hanno dovuto affrontare l’emergenza umanitaria dovuta alla fuga di numerosi migranti in cerca di protezione: dal 2014 al 2017 la “crisi dei rifugiati” ha visto arrivare sulle coste italiane oltre 625mila persone – oltre 170 mila nel 2014 e nel corso del 2016, la cifra più alta registrata nel nostro Paese, oltre 181 mila arrivi via mare in 12 mesi. Dopo gli accordi presi dall’Italia con la Libia a metà 2017, nel biennio successivo si è registrato un calo degli sbarchi, “solo” 11 mila arrivi nel 2019. Gli sbarchi tornano a risalire nel 2020 (34.154) e più fortemente nel 2021 (67.040) e nel corso dello scorso anno il numero delle persone giunte via mare in Italia è tornato a 6 cifre, superando le 105mila unità.

Come si può notare dal Cruscotto Statistico Giornaliero curato dal Ministero dell’Interno, anche i primi tre mesi e mezzo del 2023 confermano tale tendenza, con numeri rilevanti: al 17 aprile scorso oltre 34 mila persone hanno raggiunto le nostre coste via mare, quasi il 300% in più rispetto al primo trimestre dell’anno precedente».

Questa panoramica ha incendiato sin da subito la stampa e il governo italiani che, prontamente, hanno parlato di allarme sbarchi, una situazione ingestibile, sovraffollamento dei centri di accoglienza o, peggio ancora, “più sbarchi, più criminali che arrivano in Italia”.

Fonte: Elaborazioni Fondazione ISMU su dati Ministero dell’Interno. Anni 2012-2022 e al 17/04/2023

Questi numeri hanno scosso di certo l’opinione pubblica, ma soprattutto il governo. Infatti soprattutto dall’opposizione si sono accese critiche sull’incompetenza di una direzione politica che non mantiene ciò che promette. Eppure, a vedere i numeri in una prospettiva di dieci anni si nota come essi siano abbastanza coerenti con il periodo 2014-2017, in cui gravi crisi umanitarie e guerre hanno spinto sempre più uomini, donne e minori ad attraversare il Mediterraneo. Ciò assume un certo significato, considerando che tra il 2022 e il 2023 sono diverse le crisi che le aree africana e medio orientale del mondo hanno dovuto affrontare; dall’Afghanistan al Sudan, il conflitto interno e la povertà di alcuni paesi rendono chiara a moltissime persone, soprattutto giovani, l’impossibilità di costruirsi un futuro sicuro nel paese di provenienza.

 26377 migranti scomparsi nel Mediterraneo dal 2014

Ciò che a questo punto sembra non essere preso in considerazione sono altri numeri che raccontano realtà tragiche e che, forse per questo motivo, non emergono quasi mai nel dibattito pubblico. L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), nell’ambito del progetto “Missing Migrants” ha reso pubblici i vari resoconti statistici riguardo ai morti e ai dispersi nelle tratte percorse dai migranti. I dati si riferiscono agli anni dal 2014 al 2023 e raccolgono le informazioni in base al genere, all’età, alla provenienza e alla zona in cui questi tragici avvenimenti sono accaduti. Con 26377 migranti scomparsi, il Mediterraneo si attesta come la zona meno sicura del mondo per poter migrare.

Nello specifico, rispetto agli ultimi dieci anni, questo primo quadrimestre del 2023, con 619 morti e dispersi, si colloca tra gli anni più tragici in fatto di migrazione insieme al 2022 (con 715 persone), al 2015 (1982 morti e dispersi; anno in cui la crisi umanitaria delle migrazioni attraverso il Mediterraneo ha subito un grave peggioramento con il naufragio del 18 aprile 2015 in cui sono morte circa mille persone) e al 2016 (1379).

Ed è proprio in una piccola città della Calabria, a Cutro, che esattamente due mesi fa, il 26 febbraio 2023, avveniva l’ennesima strage di migranti in mare: 91 cadaveri rinvenuti e decine di dispersi. Accadimento che evidenzia quanto, nonostane siano succeduti governi di diverso orientamento politico dalla sinistra, al centro, alla destra, l’Italia e l’Europa in dieci anni non sono state in grado di rendere sicuro l’attraversamento del Mediterraneo.

Così i morti e i dispersi sono la cartina tornasole di un fenomeno che non concerne più unicamente lo sbarco e l’accoglienza, ma il diritto alla vita stesso.

Emanuele Nannini, capomissione della Life Support riferisce: «Nel Mediterraneo, siamo testimoni della vera emergenza migranti: non gli arrivi in Italia, ma le persone che muoiono in mare, in media una ogni 4 ore. È come se il Mediterraneo fosse una zona di guerra»

Sabrina Aidi
(26 Aprile 2023)

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