Non ci si salva da soli: Africa falliscono le politiche migratorie

L’Africa ci avverte che, se le politiche migratorie non cambiano direzione, non sarà la sola a pagarne il prezzo e ci insegna che non ci si salva da soli.

Al largo della Libia. Fonte Agenzia Nova
Al largo della Libia. Fonte Agenzia Nova

Per dare un giudizio sulle politiche migratorie italiane ed europee già potrebbero bastare la situazione a Lampedusa o nei vari campi profughi e il numero dei morti in mare o nel deserto, ma l’Africa ci dà ulteriori elementi per valutarne risultati ed efficacia. Lì si può misurare nel tempo la distanza tra parole e realtà, tra intenzioni dichiarate e risultati che le contraddicono. L’Africa smaschera le ipocrisie.

Africa: politiche migratorie dell’Italia e risultati

Sintetizzando le politiche migratorie che l’Italia, in accordo con l’Europa, ha messo in atto in Libia, Tunisia e, con modalità diverse, in Niger, quali sono i risultati?

Libia: dalla fine del 2017 gestisce lager disumani in spregio dei diritti umani; è tormentata da guerra civile e criminalità.
Tunisia: gravissima crisi economica, è governata dal dittatore Saïed, che sulla base dell’Accordo di luglio con il Governo italiano,  respinge nel deserto i sub-sahariani, lasciandoli morire. Per di più sono gli stessi tunisini che continuano a voler emigrare per sopravvivere.
Niger: pur essendo al centro di scambi commerciali con Europa, inclusa Russia, e Cina, grazie alle sue risorse minerarie e ai giacimenti di uranio, resta un Paese poverissimo. Save the Children prevede che nei prossimi 6 mesi il 10% della popolazione soffrirà la fame. Inoltre il Niger riveste un ruolo importante per il fenomeno migratorio con campi profughi con 300.000 rifugiati ed è il principale punto di transito dei migranti della rotta del Mediterraneo occidentale. E per questo riceve finanziamenti anche dall’Italia.

II dato comune è: erogare finanziamenti per “gestire” i flussi migratori nel Mediterraneo bloccando le partenze dei migranti. Cioè esternalizzare e non preoccuparsi di sostenere in modo duraturo lo sviluppo economico e sociale.

La direzione da intraprendere sarebbe, invece, quella di avviare un processo volto a creare effettivamente lo sviluppo di questi Paesi, ponendo davvero fine al neocolonialismo camuffato da belle parole, cioè riducendo il potere delle multinazionali, assicurando il controllo dell’economia da parte di una classe dirigente competente che deve essere formata, verificando insomma che le intenzioni dichiarate nei progetti di cooperazione allo sviluppo siano realizzate nei fatti, basta visionare il Piano europeo Global gateway  e il Pacchetto del nostro Ministero degli Esteri.

In Africa più che altrove la distanza tra parole e fatti

LE PAROLE – Di fronte alla situazione reale di questi Paesi stridono le dichiarazioni della nostra Presidente del Consiglio, subito dopo l’Accordo con la Tunisia dello scorso luglio, e della presidente della Commissione Europea von der Leyen. La prima ha trionfalmente annunciato: “con oggi parte il processo di Roma — evoluzione del Piano Mattei — che si concentrerà sugli aiuti allo sviluppo con approccio non predatorio né paternalistico”. Ricevendo il plauso della von der Leyen che poco dopo ha twittato: si faranno “partenariati olistici con Paesi partner per gestire le migrazioni” e, nell’incontro con l’Alto Commissario UNHCR, seguito all’Accordo, ha auspicato che questo “sia modello per altri!”.
Bene! Ma come garantire che queste intenzioni divengano realtà? Con quali risorse e modalità? Il dubbio fondato è che il vero obiettivo non sia questo ma solo il primo, cioè fermare i migranti. In realtà l’Accordo con la Tunisia è semplicemente la replica del modello Libia e prima ancora di quello in Turchia, cioè l’esternalizzazione, di cui da anni stiamo vedendo i risultati.

I FATTI – Intanto continuano e aumentano le partenze: al 14 agosto gli arrivi in Italia sono stati 99.771, più del 115% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso; non sappiamo quanti ne muoiono, possiamo solo contare i cadaveri galleggianti: 2060 nei primi sette mesi del 2023, secondo Frontex.
Se non si riattiva una missione di ricerca e soccorso nel Mediterraneo, vuol dire che si usano le parole per nascondere l’impossibilità di governare un fenomeno complesso con la demagogia o l’ideologia.

Per una diversa politica serve un cambiamento culturale

I grandi problemi del nostro tempo: la catastrofe ambientale, la violenza crescente, l’ingiustizia delle diseguaglianze, l’immigrazione… sono tutti collegati e richiedono un cambiamento culturale radicale, che arresti questo degrado morale che ha anteposto al vivere bene insieme agli altri il consumo, il possesso dell’oggetto da esibire. La difesa delle stabilità economico-sociali interne alle società è certamente un interesse da perseguire, ma se a dettare i criteri delle scelte sono gli interessi economici delle multinazionali, non abbiamo belle prospettive di sviluppo. Vedere nel migrante un proprio simile significa riconoscere che il valore della vita è la relazione con gli altri, con l’ambiente, con la natura.

Luciana Scarcia
(14 agosto 2023)

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