Fatou Sokhna, un’afro-romana sul set di Io Capitano

Fatou Sokhna ha ventotto anni e origine senegalese. Figlia di un traduttore in lingue arabe e di una cantante molto conosciuta nel suo paese, Fatou è in qualche modo una figlia d’arte. Nata a Roma nel 1995, è infatti una cantante, ballerina, attrice, mediatrice interculturale e traduttrice (parla sei lingue) che ha lavorato sul set dell’ultimo film di Matteo Garrone, Io Capitano. “Avevo partecipato ai casting a Roma come attrice, ma poi sono stata presa per collaborare alla realizzazione del film come interprete e mediatrice culturale. Ho lavorato nei due mesi precedenti la partenza per Dakar come facilitatrice culturale e poi, in Senegal, durante i casting per la scelta dei due attori protagonisti”. Qualche anno prima aveva partecipato alle riprese di Tolo Tolo, il film di Checco Zalone, dove aveva avuto una parte come attrice e cantante nella scena sul taxy brousse.

Italiana di seconda generazione

Cresciuta a Piazza Vittorio, nel cuore della multiculturalità romana, si diverte a raccontare di quando, consegnando i documenti per la richiesta di cittadinanza, si è lasciata sfuggire un daje che agli occhi del funzionario è valso più di ogni certificato, più del colore della sua pelle. Già giovanissima, infatti, Fatou ha dovuto interrogarsi sulla sua identità, chiedersi come dovesse definirsi, in quale cultura dovesse riconoscersi lei che parlava italiano a scuola e wolof a casa, che era figlia di musulmani ma aveva le stesse passioni dei suoi coetanei, che si sentiva tanto italiana quanto senegalese eppure aveva la sensazione di non esserlo mai fino in fondo per chi la guardava. “Sono sempre stata in mezzo a due mondi, che poi crescendo ho dovuto unire. Stavo con gli italiani e mi dicevano che non ero italiana, stavo con i senegalesi e mi dicevano che non ero senegalese, ho avuto una crisi d’identità molto forte perché non sapevo dove mettermi. Chi mi devo sentire, chi sono, chi devo essere?”

Io sono Fatou

Il tema dell’identità e dell’appartenenza, è molto sentito tra i giovani di seconda generazione, che come lei sono costretti a fare i conti non solo con la ricerca della propria identità, ma anche con il bisogno di essere riconosciuti da una società troppe volte ostile. Ispirato alla sua storia, comune a tanti, esce nel 2019 il cortometraggio del regista italo-egiziano Amir Ra dal titolo Io sono Fatou, nel quale è anche protagonista. Nel film Fatou interpreta una giovane ragazza che porta il suo stesso nome e che vive in un sobborgo romano con la madre, che vorrebbe educarla secondo le regole imposte ad una giovane senegalese di fede musulmana mentre lei, cresciuta in Italia, è alla ricerca di un’identità che possa conciliarle entrambe, in una società dove non è ancora possibile sfuggire allo stigma dell’immigrata. Per dare voce al suo malessere, dopo essere stata verbalmente molestata per strada, Fatou intona un malinconico canto soul in cui parla di sé come “afro-italiana”. Perché, come la protagonista del film, Fatou non può essere solo italiana o solo africana: “io sono afro-italiana perché ho due culture e due mondi che riescono perfettamente a coesistere e che amo nello stesso modo”.

Origini

Sempre per parlare d’identità, Fatou collabora in seguito ad un secondo lavoro del regista dal titolo “Origines. An Italian second generation movement”, un progetto nato per raccontare le storie e le inclinazioni artistiche di un gruppo di ragazzi di seconda generazione tramite la musica, la danza, la recitazione, la street art e il fumetto. “Tutto è iniziato con Io sono Fatou, dove volevamo raccontare le seconde generazioni, quello che vivono dentro casa e che non viene mai raccontato. Origines è il figlio di questo lavoro, noi dobbiamo partire dalle nostre origini, che devono essere considerate come un valore e non come qualcosa da nascondere”.  Presentato a vari festival, il film introduce le voci, i volti ed i pensieri di giovani italiani figli di varie diaspore che vogliono costruire assieme un movimento artistico, uno spazio di espressione dove raccontare non solo storie ma anche sogni e progetti.

Il bisogno di sentirsi rappresentati

Ciò che manca a Fatou è anche il sentirsi rappresentata, avere dei modelli di riferimento a cui potersi ispirare, che possano aprire la strada ad altri e testimoniare che un cambiamento è possibile: “anche a livello artistico, cinematografico, mancano ruoli, attori che ci rappresentino. Quanti attori neri ci sono in una serie televisiva o negli spot pubblicitari? Io ora sto facendo proprio questo, rappresento un modello positivo per altri”. Vedersi rappresentati contribuirebbe a normalizzare la percezione di una parte della società che ancora fatica a riconoscerli come italiani e che li costringe continuamente a dimostrare chi sono. Di tanti aneddoti, ne racconta uno: “qualche giorno fa un mio amico, l’attore e performer afro-italiano Haroun Fall, in tournée con l’Iliade, mi raccontava di come, dopo lo spettacolo, un personaggio famoso si fosse complimentato del suo italiano e questo dopo aver assistito a due ore di spettacolo in prosa! Forse due domande avrebbe dovuto farsele!”. In effetti è ancora raro vedere attori neri, o asiatici, o latinoamericani, avere dei ruoli cinematografici o teatrali che non esulino dal loro essere immigrati o rappresentanti di fasce disagiate o emarginate della società. Fortunatamente iniziano ad affacciarsi opere che cercano di ribaltare la prospettiva, di offrire il controcampo ad una realtà che viene sempre rappresentata dal nostro (occidentale) punto di vista, per citare Matteo Garrone a proposito di Io Capitano. In questo film il regista fa proprio questo e racconta il viaggio (la moderna Odissea) di due giovani senegalesi che, sognando l’Europa, partono entusiasti e poi affrontano tutti gli orrori di un viaggio clandestino, l’unico possibile per chi non ha speranza di ottenere un visto.

La musica

Fatou è anche cantante, soprattutto soul. Nel film dov’è protagonista, dice che la musica non l’ha mai tradita. “Anche nei momenti più bui, più difficili della mia vita, la musica mi ha sempre aiutato”. La musica è parte fondamentale della sua cultura, come la danza, nell’espressione libera del proprio talento. “Ho suggerito io una scena del film, che Garrone aveva pensato diversamente, ossia a quella del tann ber all’inizio del film,” quando si vedono i ragazzi suonare in strada i djembé di fronte alla gente che offre la sua danza in un’improvvisazione gioiosa. “Non si può rappresentare il Senegal senza mostrare anche la musica, le percussioni. Non è un cliché, l’Africa vive di musica, i suoni sono importanti, è la musica che distingue i suoni di una metropoli occidentale da una africana”.

Fare attivismo con l’arte

La musica, il cinema, la danza sono i canali che Fatou ha scelto per esprimere sé stessa e contribuire all’integrazione e alla creazione di una società più inclusiva e giusta. “Mi è stato chiesto di fare attivismo anche in altri modi, attraverso la politica per esempio, ma non sarei io. Io ho scelto l’arte. Sono un’anima vagante, una figlia del sociale, un’idealista”. Come ha detto in Origines, “c’è un sogno che ci accomuna tutti quanti, che sarebbe quello di vedere il mondo in maniera diversa da come troppe persone purtroppo lo vedono adesso.”

 

Natascia Accatino
(12 febbraio 2024)

 

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