Di tutti e cinque i quesiti dell’ultimo referendum, quello che ha suscitato maggiori resistenze e voti contrari, è stato quello relativo alla cittadinanza. Se per i quattro referendum sul lavoro i risultati sono stati molto simili, con una percentuale di si superiore all’80%, per il quinto che proponeva di ridurre a 5 gli anni di residenza regolare in Italia per poter richiedere la cittadinanza, il 35% si è dichiarato contrario.
Al di là della sterile ricerca di responsabilità politica per un referendum che, con il solo 30,6% dei votanti si è rivelato inutile, una parte considerevole della popolazione ha comunque espresso un voto contrario e preso posizione, lanciando un chiaro segnale di chiusura, che non va ignorato ma possibilmente compreso.
A pochi giorni dal risultato referendario, in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, il Centro Astalli ha organizzato un colloquio sulle migrazioni dal titolo “Rifugiati: diritti “sconfinati” per ri-generare il futuro”, dove si è cercato di capire dove siano finiti quei principi di solidarietà e di diritto che, alla fine del secondo conflitto mondiale, venivano ritenuti fondamentali e che oggi, invece, sono costantemente disattesi.
Diritti disattesi
Ottant’anni fa, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, le Nazioni Unite siglarono un nuovo patto per garantire la tutela del diritto internazionale, volto alla difesa della pace e dei diritti umani, perché lo scenario bellico che si era appena concluso non dovesse più ripetersi. Nacquero gli organismi internazionali e la cooperazione allo sviluppo per il sostegno economico, alimentare e sociale dei Paesi più fragili, il mondo sembrava permeato di una nuova ondata di solidarietà e di speranza e una volontà comune sembrava orientarsi verso il cambiamento collettivo. La nostra stessa Costituzione volle annoverare al suo interno articoli che proteggessero il diritto d’asilo ed il dovere di solidarietà politica, economica e sociale (Art. 2 e Art 10). Dopo ottant’anni, con oltre 50 conflitti attivi nel mondo ed oltre 120 milioni di rifugiati e sfollati (Conflit Index 2024 di ACLED), stiamo vivendo il periodo storico peggiore dal secondo dopoguerra, dove non solo la pace ed i diritti umani diventano sempre più irrilevanti ma anche il muro di indifferenza non è mai stato così preoccupante.
Se accoglienza è sinonimo di criminalità ed insicurezza
Se i processi migratori, invece di essere visti come fenomeni strutturali e naturali che da sempre caratterizzano la storia dell’umanità, vengono presentati come emergenze ed invasioni, assunti come capri espiatori delle fallimentari politiche economiche e sociali dei Governi, se la narrazione politica mette sullo stesso piano, come antagoniste, accoglienza e sicurezza come se la prima automaticamente escludesse l’altra e generasse criminalità, se a questo si aggiunge il nuovo concetto di identità da proteggere e preservare allora, forse, questo risultato referendario non dovrebbe sorprendere.
Usare l’immigrazione come capro espiatorio è quanto sta avvenendo non solo in Italia ma anche negli Stati Uniti, ha ricordato durante l’incontro Lina Palmerini, giornalista del Sole24ore, dove secondo alcuni analisti politici le deportazioni indotte da Trump assieme ad un ingiustificato spiegamento di forze militari, siano uno strumento utilizzato dal Governo per cambiare narrazione e trovare un nemico da incolpare per mascherare i propri fallimenti a livello non solo nazionale ma anche internazionale.
Strategia politica non diversa da quella già presente in Europa da tempo, ricorda Michele Colucci, storico delle migrazioni, dove la classe dirigente, incapace di formulare azioni di integrazione ed accoglienza, promuovendo politiche di chiusura alimenta la stessa illegalità che vuole combattere. Colucci ha ricordato quanto avvenuto con l’Albania negli anni ‘90, che ha rappresentato un esempio tanto negativo quanto positivo su come sia possibile agire nei confronti della migrazione illegale, quando l’Italia decise di promuovere tratte marittime legali che misero finalmente fine ai traffici gestiti dagli scafisti.
L’incontro abbatte la paura
Tuttavia, come afferma Padre Camillo Ripamonti, Presidente di Astalli, continuiamo a fare un passo avanti e due indietro in tema di accoglienza, nonostante ci sia solo un modo per annientare la paura che il risultato di questo referendum ha restituito. La formula per abbattere il binomio accoglienza/criminalità ed insicurezza sembra essere sempre la stessa: incontrare l’altro, domandarsi per quali ragioni e spinti per quali cause si decida di lasciare i propri Paesi e partire, ascoltare le storie personali, comunicare, sostituire volti ed identità ai numeri e alle statistiche. Solo nell’incontro e nell’ascolto si può distruggere la contrapposizione noi/loro, come ha ricordato anche Giovanna Valori, una delle insegnanti volontarie che da oltre vent’anni accompagna i rifugiati del Centro, che ha sottolineato come lo scambio reciproco continui ad essere occasione di arricchimento e crescita per tutti.
Occorre promuovere politiche di inclusione e di valorizzazione dei migranti, riconoscendo un’uguaglianza di diritto per tutti, perché spesso la paura che divide, alimentata da scenari allarmisti e nazionalisti, nasce proprio tra i penultimi della società, che con gli ultimi condividono la stessa precarietà e vulnerabilità, vittime delle crisi internazionali esattamente come i migranti che osteggiano.
Nel 2024 sono state 60.000 le persone arrivate in Italia dal mare, ha ricordato Padre Ripamonti. In un Paese di 60 milioni, uno ogni mille abitanti: questi i numeri della temuta invasione.
Natascia Accatino
(13 giugno 2025)
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