Il 4 giugno presso la Pontificia Università Gregoriana si sono incontrati i rappresentanti del Centro Studi Interreligiosi, Induisti (UII), Buddisti (UBI), Giainisti e Sikh (Sikhi Sewa Society), per un confronto sul tema della speranza nei nostri tempi La conferenza si richiama al documento Nostra Aetate, di cui ricorre il 60mo anniversario, con cui il Concilio vaticano II gettava un ponte fra il cristianesimo e le religioni non cristiane.
I buoni pastori e la speranza di un bene comune
Quest’anno, in un mondo travolto da guerre infinite, da miserie e ingiustizie, i religiosi si sono chiesti se si può parlare ancora di speranza di una pace possibile. I leaders, ricorda Padre Lijo George richiama l’importanza dell’insegnamento della religione per cui i leaders dovrebbero innanzitutto essere dei “buoni pastori”. L’evolversi della realtà sembra purtroppo indicare che la società sta muovendosi in modo opposto. Le religioni, in tale contesto, devono rappresentare un’alternativa possibile, seminare per raccogliere i frutti di un futuro in cui si presterà maggiore attenzione a ciò che accomuna, un bene comune per cui lavorare, la meta è la pace.
Speranza è un invito a non tacere difronte alle ingiustizie
Speranza deriva dal termine latino spes, una disposizione d’animo di realizzazione di ciò che si desidera ma anche virtù, come tensione del singolo ad andare oltre sé stesso, verso una meta e quale religione non tende verso una meta? In questa prospettiva anche la speranza “cristiana” non è attesa passiva e non deve essere disgiunta dalla fede e dall’azione. Francesca Flosi, della fondazione MAGIS, ricorda l’esperienza di Padre gesuita Stan Swamy, morto in prigione a 83 anni per difendere la propria idea di pace, dice “La speranza è energia e la fede ci chiama tutti a non tacere difronte alle ingiustizie”. Flosi riporta l’attenzione sulla guerra in Medio Oriente ma anche sul disagio delle periferie, punti di partenza per ogni cambiamento.
Speranza è Sewa, servizio disinteressato verso il prossimo
L’importanza dell’azione e della compassione ricorre così nel sikhismo, luce divina e speranza presente in ogni essere ma anche azione concreta che si realizza nel servizio disinteressato verso l’altro, il Sewa. Dio è un linguaggio universale, ricorda Gursharam Singh, segretario della Sikhi Sewa Society, che si concretizza in azioni di aiuto verso il prossimo. Il Langar, il pranzo comune che i Sikh offrono a più di 100mila persone in India, la più grande mensa comune al mondo, senza distinzione di casta e religione, ne è l’espressione più suggestiva.
Piccoli gesti semi di vita e speranza
Manmeet Singh (Singh significa Leone) definisce il Langar, “Un messaggio silenzioso ma potente; condividere un pasto non è solo nutrirsi perché la pace nasce nel silenzio dei piccoli gesti, semi di vita e speranza, dalla speranza nasce l’azione che porta alla pace”. La speranza è un processo attivo di apprendimento, rinforza Jasjit Singh, dell’Università di Leeds.
La speranza come moksha, liberazione e consapevolezza
Nel Giainismo come nel Buddhismo e nell’Induismo l’accento cade più sul potere dell’individuo. Questo ad un primo approccio, il singolo è sempre considerato come parte di un tutto, il cambiamento nasce dalla consapevolezza, la speranza dalla certezza che il proprio cambiamento produrrà un effetto a catena sugli altri esseri umani. Solo come parte di un tutto gli individui possono agire. Le tre religioni negano ogni trascendenza, il Buddha è un illuminato, l’individuo deve contare solo sulla sua volontà e sforzi concreti per liberarsi dai lacci che lo tengono legato ai desideri terreni. Nel contempo, credere nel potere del cambiamento non può essere disgiunto dalla speranza che ciò sia possibile anche per gli altri e quindi credere che un futuro pacifico ed armonioso. Moksha è il termine giainista e induista per speranza, è credere che ogni trasformazione sia possibile.
Umiltà e dialogo strumento della speranza nel Giainismo
Gli strumenti della speranza sono umiltà e dialogo, i soli che possano produrre una pacifica coesistenza di tutti gli esseri umani. Janish Sheth dell’Università di Birmingham, preferisce parlare di gentilezza in quanto il termine speranza può creare sia aspettative negative che positive anche se la speranza è nella convinzione che tutti possano diventare virtuosi. La speranza, dice Sheth “non ci esenta dalla capacità di agire”.
La speranza come fattore implicito della pratica buddista
Gabriele Piana, studioso ed insegnante della filosofia buddhista, rileva la difficoltà di un’interpretazione univoca buddista della speranza. L’essere umano è la chiave per trasformare la disperazione in speranza, è la fede nel potenziale infinito di trasformazione che esiste in noi e negli altri. In questa prospettiva, “La speranza è implicita alla pratica buddista”, la speranza non è l’attesa passiva che si realizzi qualcosa ma si basa sulla fiducia/speranza che ogni individuo è in grado di percepire la propria buddità, chi la raggiunge è considerato un illuminato e come tale non può che avere fede nella pace. Francescon, responsabile dell’UBI, allarga il concetto di pace ricordando che la la prima guerra a cui porre fine è quella contro l’ambiente.
Speranza, compassione, impegno sociale, il potere della visualizzazione
Ela Gandhi, politica sudafricana nonché nipote del Mahatma Ghandi contribuisce con l’esperienza vissuta in Suf Africa. Ela Ghandi richiama il potere della visualizzazione nella religione hindu, l’azione nasce dal pensiero che precede l’azione, “Vedo un’immagine dove ognuno si prende cura dell’altro” dice Ghandi a proposito della Palestina e dell’Ucraina, che non significa tralasciare l’impegno sociale, come ha insegnato il Mahatma Gandhi. Pensiero ed azione sono intimamente legati mentre la consapevolezza della situazione permette di affrontarla con maggiore chiarezza.
La speranza di un futuro di pace è il minimo comune denominatore
L’individuo deve essere collocato all’interno di un contesto sociale che lo vede legato agli altri: realizzare sé stessi essendo consapevoli dell’interdipendenza di tutti gli esseri umani. La saggezza senza l’aspirazione al cambiamento – che sia consapevolezza e liberazione o carità e servizio per gli altri – resta un termine vuoto. Fede e preghiera, come parole in divenire, accomunano tutti verso la meta del bene comune che è irrealizzabile senza pace.
Livia Gorini
(13 giugno 2025)
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