Palestina: non smettiamo di parlarne

A Gaza, in questi giorni, si affonda nel fango e si muore. Si muore di freddo, di fame, per mancanza di cure mediche o sotto i colpi di qualche cecchino. Emergency racconta che, con il passaggio della tempesta Byron, nella Striscia: “Le strade si sono trasformate in fiumi. Con i pochi mezzi disponibili, in queste ore la popolazione tenta di creare barriere per fermare l’impatto delle forti piogge. Sacchi di sabbia e piccoli canali di scolo non riescono però a contenere la quantità di acqua che sta entrando nelle tende e negli alloggi di fortuna, soprattutto nella zona costiera.”

Gaza: la situazione degenera per il freddo e le forti piogge

Le condizioni di vita, già estreme, aggravate dal gelo invernale e dalle intemperie, hanno provocato anche il crollo di alcuni edifici e la morte di 16 persone, molti sono bambini. Gli allagamenti aumentano anche i rischi sanitari: le infezioni sono favorite dall’acqua contaminata. L’ingresso di beni essenziali nella Striscia è ancora totalmente insufficiente. Gli aiuti necessari per riparare e rinforzare le tende si trovano fermi ai valichi, a pochi chilometri di distanza, ma non vengono fatti entrare. La Difesa civile di Gaza, che opera sotto l’autorità di Hamas, ha riferito che sono oltre 800mila gli sfollati distribuiti in 761 campi. L’aggressione israeliana su Gaza, nonostante il piano di pace di Trump e i tentativi dell’Amministrazione americana di stabilizzare la Striscia, non è finita. Continuano i bombardamenti su Rafah, Khan Younis e Gaza città.

Cisgiordania: tra ceck-point e aggressioni dei coloni

Nel frattempo, nella Cisgiordania occupata, Israele ha dato l’approvazione definitiva a un piano che prevede la costruzione di 764 nuove unità abitative, per i coloni, in tre distinti insediamenti. L’esercito israeliano ha annunciato la conclusione, la scorsa settimana, di un'”operazione antiterrorismo” durata due settimane, che avrebbe causato la morte di sei palestinesi, per la maggior parte minori, e decine di arresti. Da parte sua, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (Ocha) ha comunicato che sono  27 i palestinesi uccisi dall’esercito israeliano o da coloni in Cisgiordania tra il primo gennaio e il primo dicembre. Secondo dati ONU, dal 7 ottobre 2023 le operazioni israeliane in Cisgiordania hanno causato circa 1.000 morti palestinesi.

Perché continuare a parlare di Gaza e della Palestina

Per tutti questi motivi, è necessario continuare a parlare di Gaza e della Palestina, perché da troppi giorni e a torto si è fatto credere all’opinione pubblica che, con l’attuazione del  piano di pace del presidente Trump, la situazione si sia stabilizzata e la popolazione stia meglio, abbia finito di essere uccisa senza motivo e non soffra più la fame. Non è così. L’interesse dei media si è spostato su altre notizie internazionali, su altri conflitti, con il rischio concreto di normalizzare l’orrore che invece lì stanno ancora vivendo.

Palestina: alziamo il volume. Viaggio nella Cisgiordania occupata

Per evitare che ciò accada, la società civile, i partiti progressisti e le associazioni di attivisti, stanno mantenendo vivo il dibattito pubblico sul dramma palestinese. Numerosi sono stati gli eventi della scorsa settimana. Tra i più seguiti, sicuramente, l’evento promosso, il 9 dicembre al centro culturale MONK di Roma, dai 5 Stelle con la collaborazione di Luisa Morgantini di Assopace Palestina dal titolo “Palestina: Alziamo il volume” viaggio nei territori occupati della Cisgiordania. Tema dell’evento è stato il viaggio compiuto da una delegazione del Movimento, accompagnata da Luisa Morgantini, in Cisgiordania, dove hanno visitato villaggi e campi profughi e sostenuto una serie di colloqui con esponenti della società civile, con le Ong presenti e con l’Autorità Nazionale Palestinese. A Gerusalemme, invece, hanno incontrato movimenti israeliani per la fine della guerra e dell’occupazione e membri della Knesset, della joint list. Durante la serata sono stati proiettati filmati e dialoghi con i palestinesi che tutti i giorni subiscono la violenza dei coloni e lo stress di vivere quotidianamente con sbarramenti e Ceck point. “i posti di blocco che gli abitanti delle città della Cisgiordania devono affrontare, per le necessità della loro vita quotidiana, sono aumentati a dismisura dal 7 ottobre” racconta Luisa Morgantini. “In quest’ultimo anno sono arrivati a 1000, lasciati all’arbitrio totale dei soldati che li presidiano ed aprono e chiudono i cancelli per il tempo che vogliono, costringendo gli abitanti a lunghe ore di attesa, per rientrare o uscire da casa. Un viaggio da Ramallah a Gerico che di solito dura quarantacinque minuti, ora può richiedere 5 o più ore, addirittura giorni” spiega ancora la presidente di Assopace.

“Noi Rifiutiamo”: incontro con i refusenik

“Noi Rifiutiamo” è il titolo dell’incontro, organizzato da Alleanza Verdi e Sinistra in collaborazione con AssoPace Palestina, che si è tenuto il 10 dicembre, nella Sala Zuccari del Senato, a Palazzo Giustiniani, con due refusenik, obiettori di coscienza israeliani, Iddo Elam  ed Ella Keidar Greenberg, attivisti di Mesarvot, una rete di attivisti israeliani contro l’occupazione della Palestina. Mesarvot sostiene gli obiettori di coscienza di fronte all’obbligatorietà della leva militare, trasformando il rifiuto da una semplice scelta individuale o privata, in un vero e proprio atto politico contro l’oppressione del popolo palestinese.
Sono intervenuti anche il Sen. Giuseppe De Cristofaro, l’ On. Nicola Fratoianni, Luisa Morgantini e un attivista di Tikkun, la diaspora ebraica  decoloniale.
Iddo ed Ella, si sono opposti alla leva obbligatoria del loro stato che, dopo il 7 ottobre, è stato portato a 3 anni per gli uomini e due per le donne, rifiutandosi di partecipare al genocidio del popolo palestinese.

Iddo ed Ella: l’intento è di convincere più giovani possibile a dire NO

Questi ragazzi giovanissimi, Iddo ha 19 anni mentre Ella solo 18, spiegano lo scopo della loro decisione: spezzare la catena del sistema dicendo No. “Io combatto contro l’occupazione israeliana sin da quando avevo 14 anni, insieme ad amici e compagni palestinesi. È comprensibile che non voglia essere parte di un sistema che opprime il suo popolo, il popolo dei miei amici e dei miei compagni. Solo facendo pressione sul nostro governo, affinché finisca l’occupazione e il genocidio, il mio futuro sarà più sicuro. Non possiamo fermare una spirale di violenza e morte se non diamo libertà ed eguaglianza ai palestinesi” spiega Iddo. “Quando ci rifiutiamo di svolgere il servizio militare, i media parlano di noi, diventiamo un argomento d’interesse per la società; speriamo, in questo modo, di poter raggiungere sempre più ragazzi, prima che lo faccia l’esercito.” dice ancora, per spiegare la loro ricerca di visibilità.

Ella: prigione e confino per la mia identità di trans

“Per me, personalmente è stata una scelta facile. Mi sono rifiutata di arruolarmi dopo essere già stata coinvolta nella lotta contro il regime di apartheid” racconta Ella Keidar Greenberg “Ho pagato prezzi alti in passato: persone che conoscevo e cui ero legata sono state uccise da questo regime. Io sono stata un mese in prigione e poi sono stata confinata, per una norma dell’IDF sui detenuti e le detenute trans. È comunque un piccolo prezzo da pagare per non prendere parte a un genocidio e opporcisi pubblicamente” ribadisce Ella.

L’appello finale

Infine, entrambi concludono con un appello: “Il nostro rifiuto non ci rende speciali o persone particolarmente coraggiose. Ci stiamo opponendo a un genocidio ma lo facciamo all’interno del sistema, con l’intento di essere di esempio ad altri giovani israeliani. La nostra è una posizione umana e dalla parte giusta della storia, ma finché non ci sarà una forte condanna di tutta la comunità internazionale, questo regime continuerà a perpetrare i suoi crimini. Il nostro appello è che si continui a parlare della Palestina, che non si spengano le luci su quello che sta continuando ad accadere a Gaza e in Cisgiordania e che sempre più israeliani si uniscano a noi, nell’opporsi a questo genocidio e a questa occupazione.”

Nadia Luminati
(15 dicembre 2025)

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