Donne rom straniere: 3 volte discriminate

L’incontro pubblico Essere Romni: donne Rom ora e qui, ideato da Saška Jovanović Fetahi, presidente dell’Associazione Romni, in collaborazione con l’Associazione LIPA per promuovere una piattaforma comune con le reti delle donne e le associazioni che rifiutano la discriminazione
L’incontro Essere Romni: donne Rom ora e qui, ideato da Saška Jovanović Fetahi, presidente dell’associazione Romni, in collaborazione con l’associazione LIPA per promuovere una piattaforma comune con le reti delle donne e le associazioni che rifiutano la discriminazione

“Noi donne rom siamo discriminate 3 volte: perché donne, perché rom, perché straniere. Nasce da qui l’esigenza di tessere una rete tra tutte le donne rom e sinti: solo unite possiamo vincere e cambiare il nostro futuro”. Saška Jovanović Fetahi è molte cose: un ingegnere energetico che in Kosovo era a capo di 12 uomini, mamma di tre splendidi bambini, imprenditrice che ha dato vita ad un’azienda di import-export, presidente dell’associazione Romni Onlus, fellow 2014 dell’Open society foundations romani women’s fellowship.
Sabato 8 marzo nella sala convegni del CESV- Centro servizi per il volontariato del Lazio – di donne come Saška ce ne sono molte, che investono su sé stesse e lottano per l’emancipazione facendo i conti con una duplice discriminazione: da parte della società italiana, ma anche della stessa comunità alla quale appartengono.

“Oggi la comunità rom conta in Italia circa 150.000 – 160.000 persone” spiega Concetta Sarachella dell’associazione Ticane Asiem Onlus: “Per secoli c’è stata una discriminazione di genere che ha relegato la donna nell’invisibilità dell’assistenza familiare e tuttora in alcune realtà le donne non possono uscire dal campo senza la supervisione della suocera o della figura femminile incaricata della loro tutela, poche riescono a raggiungere alti gradi di istruzione e molte famiglie non consentono di accettare lavori altri rispetto a quelli tradizionali all’interno delle comunità”. Il prezzo dell’emancipazione è l’esclusione: una donna che non si conforma ai ruoli classici è destinata nella maggior parte dei casi a restare single.

La discriminazione da parte della società italiana non è meno feroce: “Senza la cittadinanza come farò a trovare lavoro e costruirmi un futuro?” domanda al Presidente della Repubblica la 18enne Brenda, nata e cresciuta in Italia, all’interno del video Sono solo una ragazza. “Abitiamo in dei container due metri per quattro, è tutto grigio e recintato, pieno di fango” prosegue la 15enne Pamela “Ci credo che non ho amici, nemmeno io la vorrei un’amica che abita in un posto così brutto”.

“Non possiamo aspettare che gli altri ci riconoscano le nostre prerogative, dobbiamo agire e alla fine gli uomini ci correranno dietro” dichiara Dijana Pavlović, artista impegnata dal 2008 in politica, annunciando la presentazione, il prossimo 8 aprile, di una campagna per una legge di iniziativa popolare volta al riconoscimento della minoranza rom e sinti.

“Noi viviamo una grande crisi di identità: abbiamo comunità quasi analfabete, una percentuale del 93% di disoccupazione. Crescere i nostri figli orgogliosi della propria identità vuol dire mantenere il nostro popolo… pulito. Riconquistare una cultura e una storia che si stanno perdendo dopo tanti anni di vita nei campi. Altrimenti tutte le nostre battaglie si ridurranno soltanto ad ottenere un appartamento o un lavoro”.

“Ci incontreremo nelle prossime settimane per realizzare progetti volti a dare voce e rispetto a tutte le donne” assicura Daniela Tiburzi, presidente Commissione delle elette del Comune di Roma e anche l’europarlamentare Silvia Costa, che non ha potuto prendere parte all’incontro, si dice disponibile al confronto. Un altro passo verso l’emancipazione è stato compiuto?

Visita il profilo facebook di Rowni Italia – gruppo di donne rom e sinti

Sandra Fratticci
(12 marzo 2014)

LEGGI ANCHE