Id al-fitr, alla ricerca del vero Islam

Un banco del mercato della Grande Moschea

È giorno di festa alla Grande Moschea, il mercato, un po’ spento durante l’ultimo venerdì di preghiera, si è rianimato, pieno di persone che indossano bei vestiti dorati e di cibi che, ancora sprovvisti di allacci elettrici, cuociono sotto i 40 gradi di Roma in questa domenica 19 agosto che segna, designato dagli esperti, l’Id al-fitr 2012, la fine del digiuno e l’inizio del decimo mese del calendario islamico. “Ogni anno capita appena 10-12 giorni prima rispetto alla fine del Ramadan precedente – nel 2011 era il 29 agosto – ci vorrà a tempo prima che si torni a digiunare in inverno, anche se è comunque difficile: se in estate soffri la mancanza di liquidi, in inverno manca l’apporto energetico dei cibi che ti protegge dal freddo” commenta Sabrina, ma Abdel ci tiene a sottolineare che il digiuno “è autocontrollo, non auto-tortura… se per qualsiasi motivo non ce la fai non devi farlo. Se si svolge un lavoro pesante che comporta perdita di liquidi ci si può astenere e recuperare i giorni di digiuno, che devono essere 30, durante l’anno, ma non il venerdì… il venerdì si digiuna solo di Ramadan”. E le donne con questo caldo e quei veli come fanno? “è un luogo comune pensare che più si è scoperti meno si ha caldo, i materiali con cui sono fatti li usano anche a Nuova Delhi, dove si arriva a 50 gradi…”

Tra i banchetti non mancano le iniziative, da quelle a sostegno della Palestina a quelle pressoché taciute: alcune ragazze distribuiscono volantini per far conoscere il massacro nei confronti dei musulmani da parte dei buddisti che, nello stato di Arkan in Birmania (Myanmar), di anno in anno diventa più critico: “in questo mese un furgone che trasportava 10 persone dirette in Birmania per insegnare l’Islam, è stato fermato dai buddisti. Gli hanno tagliato le lingue e i corpi a pezzi, gettati poi nella spazzatura. I musulmani si sono ribellati ma li hanno fatti tacere bruciando case, torturando uomini, stuprando donne e uccidendo bambini. Ad oggi si contano 40mila vittime, 500 villaggi bruciati e 300 moschee chiuse. Al momento stesso il governo del Bangladesh sta respingendo più di 30mila civili in fuga. Un genocidio di questo livello, in così pochi giorni, non è stato commesso nemmeno da Hitler”. Su grandi teli bianchi si chiede l’offerta per la Moschea, molti affidano a essa il pagamento della zakat, spesso confusa con l’elemosina, ma con cui ha poco a che fare, poiché la zakat non è volontaria ma obbligatoria, secondo i cinque Pilastri dell’Islam, un’altra forma di purificazione: “dalla propria ricchezza, si cede il 2,5% del proprio guadagno netto annuale, per chi ha bisogno, anche non musulmani” dice Sabrina.

Volantino nei pressi della Moschea che denuncia il genocidio dei musulmani in Birmania

Tra le forme di purificazione, le preghiere, 5 perché vanno con l’andamento del sole: i loro nomi corrispondono proprio all’alba Fajr, mezzogiorno Dhur, pomeriggio Asr, tramonto Maghrib e notte Isha’. Tre minuti circa a preghiera, che è sempre composta dalla prima Sura, la Fatiha, seguita da una parte del Corano a piacere, e accompagnata dai movimenti su e giù (in piedi e proni), curiosamente denominati in arabo sujud (prosternazione): insieme compongono un’unità, mentre più movimenti compongono un ciclo o serie (raka’). Ogni preghiera ha un numero prefissato di movimenti, per esempio Dhur e Asr ne hanno 4 ciascuna, mentre Maghrib 3. Alla fine di ogni preghiera c’è invece la supplica personale o invocazione (dua’a) ai Profeti con il dito puntato verso la Ka’ba della Mecca.

Dopo la preghiera di mezzogiorno, compare il sindaco di Roma Gianni Alemanno in compagnia dell’ambasciatore dell’Arabia Saudita, Saleh Moh’d Gh Al-Ghamdi, presidente del consiglio della Moschea. Un buffet curatissimo con tè e dolci, che, una volta andati via i due ospiti importanti, viene assaltato dalla folla: tutti cercano di arraffare il più possibile. Riesco ad assaggiare un brawat, la versione dolce del sambousa, pasta sfoglia triangolare ripiena di mandorle, cannella, zucchero, burro e acqua di rosa, ma quando cerco di prendere anche un basboua su cui intravedevo della farina di cocco, un uomo me lo sfila dalle mani.

Dopo la Moschea, decidiamo di festeggiare l’Id al-fitr con un pranzo a un ristorante indiano, lì è facile trovare carne halal, “lecita”, una gioia per gli animalisti, non vegetariani, e i fanatici del “bio”: “gli animali da macello – comunque solo bovini, ovini, armenti in genere, e la cacciagione, né maiale né cavallo – devono vivere bene, nei pascoli, in condizioni di libertà. La caccia non è assolutamente accettata come sport e non si deve mai uccidere un animale di fronte a un altro perché si spaventerebbe ed è considerata violenza psicofisica. Inoltre per far sì che la carne sia davvero halal, prima di uccidere l’animale bisogna pronunciare il nome di Allah e l’uccisione si effettua solo con un taglio alla gola fatto in un certo modo che non permette all’animale di soffrire e accorgersi della morte”. A raccontarlo è Fabiana, giovane italiana convertita, al suo secondo Ramadan, ora si è trasferita a Londra perché a Roma non trova lavoro, dice che lì, rispetto al suo primo Ramadan, lo svolgimento è stato più piacevole: “è come trovarsi in un paese arabo, c’è più da condividere, c’è più integrazione, i musulmani sono più partecipi della società”. Eppure, sono tre mesi che lavora come babysitter senza hijab, non ha voluto rivelare la sua fede ai datori di lavoro: “quando prenderanno pienamente fiducia glielo dirò”. Con lei c’è Michele, il fidanzato, romano, non credente, anzi, ancora non accetta la conversione di Fabiana. La convivenza della coppia mi incuriosisce non poco. Soldato, ha passato 25 dei suoi anni in guerra, tra Iraq e Afghanistan, e subito afferma: “finché non li vedo – i musulmani – non mi fido”, perché lui ha visto bombe sotto i veli. Sabrina è mortificata di dover passare il suo giorno di festa subendo insinuazioni gratuite e mi rendo conto di quanto sia difficile per loro, e per chi crede veramente, far passare il giusto messaggio…

sujud (prosternazione) nello stretto corridoio della Moschea

Al contrario del Cristianesimo, secondo l’Islam l’uomo nasce incorrotto, senza nessun peccato originale, per lo stesso motivo, non c’è alcun sacrificio da compiere per potersi purificare. Ogni uomo nasce libero: è come decide di usare questa libertà che cambia le cose. “Adamo è considerato il primo Profeta – dice Abdel – e non fu solo Eva a mangiare la mela, simbolo della conoscenza, ma entrambi. La ‘cacciata dal Paradiso’ non fu una punizione, ma un dono: Dio voleva far capire all’uomo e alla donna che non si può avere facilmente accesso alla conoscenza, è un processo complesso”, la Terra quindi non è una maledizione ma un modo per conoscere lentamente e quindi capire. “L’uomo, inteso come umanità, è un kalifa, vicereggente di Dio sulla Terra, il peccato più grande che può commettere è dominare la natura in modo ingiusto: opprimere e distruggere l’ambiente e gli esseri viventi. Peccare cioè di arroganza”. Per lo stesso motivo non c’è conflitto con le altre religioni, anzi si prescrive la protezione delle minoranze: “secondo i musulmani tutte e tre le grandi religioni monoteiste sono state rivelate da Allah, ma l’Islam accetta anche una serie di figure controverse, come i Jinn, che per alcuni sono da identificare con creature extraterrestri: non a caso Allah viene definito Signore dei Mondi e non del Mondo”.

Il buffet, dietro il vassoio del tè, i bawat (a destra) e i basboua (a sinistra)

Quando si nomina la purificazione per l’Islam è un’altra cosa: la natura umana non può essere purificata, proprio perché è natura… “le purificazioni sono solo un modo che aiuta i fedeli a vivere i comandamenti – dice Sabrina – è un aiuto al ricordo, una purificazione al ricordo. Si cerca un distacco dal contesto spazio-temporale, per sentirsi più vicini alla trascendenza”. Ogni uomo è responsabile di sé e non ha bisogno di mediatori con Dio. Il digiuno, le preghiere, le abluzioni, la zakat, sono tutte forme di purificazione, dosate come su una bilancia: “nel Ramadan il concetto di equilibrio è fondamentale, il fatto che si verifichi ogni anno, che ci sia una differenza tra giorno del digiuno e notte di festa, che ci siano 5 preghiere, per 15 minuti al giorno al massimo, e riti”. Effettivamente l’equilibrio è anche in una cena tra due musulmani e due non musulmani…

In questi tre giorni di immersione nell’Islam, ciò che ho percepito è una morale orientata alla pace – salam – e all’uguaglianza che quotidianamente rischia di essere manipolata da singole persone, culture e governi fino a creare problematiche e differenze così eclatanti da risultare difficile pensare perfino a una stessa religione.

Alice Rinaldi (23 agosto 2012)