Secondo Amnesty International Italia a Roma, nei primi sei mesi del 2012, oltre 850 persone sono state sgomberate dai campi informali. Un rifugio di emergenza è stato offerto solo in 209 casi.
Un caso analogo si è verificato lo scorso 28 settembre quando i rom residenti al campo di Tor de’ Cenci sono stati sgombrati forzatamente e trasferiti alle spalle dell’ultimamente chiacchierata sede della regione Lazio, da dove si raggiunge in pochi passi via Arcadia 20, l’ex fiera di Roma.
“Erano diciassette anni che stavamo nel campo” afferma amareggiato Ferid Sejdic, portavoce dei 177 rom costretti da qualche giorno a vivere in pochi grandi camerate nei prefabbricati dell’area. “Sembra una guerra” commenta un ragazzo. Entro il fine settimana dovrebbero avere una sistemazione definitiva a Castel Romano, destinazione non gradita: “è pericoloso, c’è una buca molto profonda protetta solo da una rete facile da levare, i bambini quando giocano sono vivaci e rischiano di caderci. Nemmeno sarebbero possibili interventi di soccorso se non con l’elicottero. Ma a quel punto rischiano di tirar su solo dei cadaveri, dopo un volo di tutti quei metri”, continua Sejdic. Inoltre in quel campo sarebbero sprovvisti di servizi, anche solo di una semplice fermata dell’autobus “l’integrazione con chi dovremmo farla, con gli alberi?” afferma provocatoriamente.
In base alle ricerche condotte da Amnesty International Italia, nella maggioranza dei casi, le persone colpite dagli sgomberi non sono state consultate sul processo in corso né è stata offerta loro alcuna alternativa praticabile. Non è stato possibile consultare alcuno scritto che indicasse i motivi legali dello sgombero e le procedure a disposizione per contestarlo, anche se a volte sono stati consegnati dei documenti per informarli che era stato aperto un procedimento penale nei loro confronti, generalmente per invasione od occupazione di terreni o edifici appartenenti ad altri.
Una preoccupazione condivisa è diffusa lungo tutto lo stabile adibito ad improvvisato dormitorio: quasi duecento persone che si domandano quando saranno trasferiti e come. C’è timore per il futuro e per la salute dei propri figli nel commento amareggiato di un padre “se qui dovesse succedere loro qualcosa, se dovessero farsi male in una struttura che cade a pezzi, non saprei neanche a chi dare la colpa.”
I bambini girano intorno incuriositi, ma si tengono in disparte intimiditi. Solo una di loro, coraggiosa, si fa avanti per affermare nuovamente come l’aria pesante sia la cosa più brutta da sopportare in questo nuovo posto dove sono stati portati. “Durante il giorno sto sempre fuori da qui, per respirare”. E i più piccoli non sanno cosa fare “non abbiamo giochi, non siamo riusciti a portarli via quando c’hanno sgomberato e sono andati distrutti con le nostre baracche” rivela una giovane madre.
Disagi per scuola e lavoro “Tutti i ragazzini andavano a scuola, tra elementari e medie”, sostiene E., “in questi giorni non gli è stato possibile perché bisogna aspettare che passi il pullmino a prenderli, ma per permettergli di tornare in classe deve farlo entro le 7 di mattina, perché tra la distanza e i giri per i diversi istituti si rischia di fare tardi”. Un altro problema è continuare le attività che permettevano un minimo guadagno, “io raccolgo e vendo ferro”, continua E., “ora non riesco a farlo, in questa zona. Altri si sono trovati nella mia situazione, sono pochi che riescono a continuare qualche lavoro qui”.
La richiesta di Sejdic a nome della sua gente è semplice, “vogliamo andare nelle case nella zona di Tor de’Cenci, ce ne sono molte abbandonate, possiamo noi stessi lavorarci per ristrutturarle. Basta che ci diano i permessi” e si dichiara pronto ad affrontare insieme a tutti gli altri uno sciopero della fame finché non saranno accontentati. Nel frattempo bisogna superare una situazione emergenziale, con gli stanzoni privi di finestre, manca l’aria se non si apre la porta che dà sull’esterno, tanto che molti dei bambini stanno avendo problemi respiratori con le conseguenti difficoltà nel dormire. C’è la presenza di medici della croce rossa, ma “non hanno tutti i medicinali”, racconta E. “quando mi sono fatto un taglio alla gamba sono intervenuti, ma per mia figlia non sono stati in grado”. Non ci sono possibilità di scaldare cibi, tantomeno il latte per i più piccoli, l’ultimo dei quali nato da appena quattro giorni “sono altri immigrati a doverci portare roba da mangiare per la colazione e gli altri pasti”. “Per fortuna sono riuscita a portare lo scalda biberon perché durante lo sgombero non ci hanno nemmeno dato il tempo di preparare i bagagli”, aggiunge la moglie di E. Una signora richiama l’attenzione per dire che a stare lì con quell’aria pesante, quell’odore cattivo , la sua asma sta peggiorando “non ce la facciamo più. Siamo esseri umani anche noi.”
Piera Francesca Mastantuono e Gabriele Santoro(2 ottobre 2012)