La storia di Mohamed Dafa è quella di un sopravvissuto approdato in Italia nel 2007 grazie all’aiuto del capitano di peschereccio Vito Cittadino, di Mazara del Vallo. Vito l’ha tratto in salvo, portando a riva l’unico superstite di una barca partita con 47 persone. Secondo di sette fratelli Mohamed è partito dalla Mauritania per vivere come un uomo libero e per poter aiutare la sua famiglia. Non vuole assolutamente che nessuno dei suoi famigliari affronti il suo viaggio, perché troppe sono le cose brutte che ha visto, “e sono tanti quelli che impazziscono”.
Presentato in anteprima il 19 dicembre 2012 a Palazzo Valentini – Roma – “Mohamed e il pescatore” è un film-documentario del 2012, di Ludovica Jona, Marco Leopardi e Marta Zaccaron con la regia di Marco Leopardi. Il film è stato selezionato dal programma Eurodoc nel 2011 e dal Lisbon Docs 2011. È stato cofinanziato dal Fondo Media e Sviluppo della Commissione Europea e dal Fondo per l’Audiovisivo del Friuli Venezia Giulia.
Il problema giuridico. Tra i numerosi temi sollevati dal film-documentario, Gianfranco Schiavone, del direttivo nazionale ASGI – Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione – interviene sul nodo cruciale, ovvero l’apparente disaccordo tra il salvare un natante in mare e l’essere accusati di tratta di esseri umani. “Molti sono i pescherecci che non salvano persone naufragate dalle loro imbarcazioni perché temono di essere denunciati per tratta, ma così facendo violano l’obbligo di dare soccorso, al quale sono tenuti per legge”. In termini di concretezza, si rendono qui necessarie due azioni principali “togliere la cappa ideologica intorno alla questione immigrazione e riequilibrare la normativa. La vaghezza non aiuta e lascia troppo spazio all’interpretazione”.
Padre Giovanni La Manna, presidente del Centro Astalli, denuncia da subito, con amarezza, “noi italiani stiamo procedendo verso un impoverimento culturale”. Ed inoltre, in merito alle problematiche sollevate dal film, rileva come proliferino le contraddizioni “l’Italia riconosce il diritto all’asilo ma non garantisce allo straniero la possibilità di arrivare qui in sicurezza”. Eppure, supportare modi legali per gli spostamenti vorrebbe dire contrastare concretamente i trafficanti di esseri umani, i cosiddetti scafisti.
La solitudine dello straniero. Schiavone e La Manna concordano su un punto: che il riconoscimento giuridico dello status al quale lo straniero appartiene – rifugiato, protezione sussidiaria, richiedente asilo – corrisponda di fatto all’abbandono sociale, in tal modo “essere rifugiati è essere equiparati ad un cittadino italiano, questo per lo straniero diventa quasi una sfortuna, perché è lasciato a se stesso” sottolinea La Manna.
Mohamed non ha paura del mare perché “si trova al suo posto, sono io che sono andato dentro lui”. E non essere indifferenti ed andare oltre i propri pregiudizi e timori, sarebbe senz’altro un modo per far progredire la civiltà umana, tutta.
Piera Francesca Mastantuono
(20 dicembre 2012)